La bagarre andata in scena alla Camera in occasione del voto sulla proposta per istituire la Commissione Covid è indice perfezionato di alcuni nervi assai scoperti.
D’altronde che non sia stata la dialettica parlamentare, per quanto accesa, ad aver innescato la reazione sopra le righe di Giuseppe Conte e di Roberto Speranza ci è testimoniato dalla acredine che l’ex Ministro della salute riversa sulla ipotesi di costituzione della Commissione tra le pagine della nuova edizione del suo libro ‘Perché guariremo’, tornato nel circuito librario e delle presentazioni dopo l’assai frettoloso, originario ritiro. Quindi da ben prima del voto parlamentare che tanto lo ha indignato, come lo hanno indignato gli interventi degli esponenti del centrodestra.

La Commissione viene liquidata come una sorta di vendetta politica, di una prepotenza della attuale maggioranza. La cui caducità, con toni tra l’oracolare e il savonarolesco, Giuseppe Conte ha rimarcato con voce stentorea ‘non governerete per sempre’. Ora, proprio perché sia Conte che Speranza appaiono tanto attenti all’elevatissimo senso di responsabilità istituzionale che li avrebbe avvinti e che avrebbe costituito loro stella polare durante gli ardui giorni della pandemia, sarà il caso di rimarcare, a loro beneficio soprattutto, che l’utilizzo politico della pandemia non è stato certo il centrodestra a scorgerlo o a metterlo nero su bianco. E proprio l’occasione della pubblicazione della nuova edizione del capolavoro letterario speranziano, contenente la precedente edizione in maniera integrale e con aggiunta di alcuni capitoli, uno dei quali proprio dedicato allo sgarbo istituzionale della Commissione Covid, è momento straordinario per ricordare quanta fiducia venisse riposta nella pandemia come ‘nuova possibilità di ricostruire un’egemonia culturale su basi nuove’.

‘Sono convinto’, proseguiva l’allora Ministro scopertosi scrittore che ‘abbiamo un’opportunità unica per radicare una nuova idea della sinistra’. Chiamato di recente a fornire interpretazione autentica di queste oggettivamente controverse e inopportune asserzioni, posto che peraltro la pandemia non era nemmeno finita all’epoca, tanto da aver costretto con mossa fulminea al ritiro del libro, Speranza ha parzialmente precisato riferirsi alla necessità di un maggiore intervento dello Stato. Cercando così di sgomberare il campo da altre interpretazioni dietrologiche.
Più sanità pubblica, avrebbe cioè inteso, contro le distorsioni che il sempre malvagio mercato inquinato dal tossico neo-liberismo, formula demiurgica buona per ogni stagione, avrebbe importato mettendo a repentaglio la salute degli italiani.

Mi sia consentito rimanere scettico e dubbioso perché la formula ‘ricostruire un’egemonia culturale su basi nuove’ lascia aperti scenari interpretativi tra i più vari.
D’altronde anche se il riferimento fosse stato solo a keynesismo esasperato, statalizzazione altrettanto estrema, riduzione dei privati a soggetti ancillari severamente scrutinati da occhiuti funzionari pubblici, dimenticando che alcuni tra gli strumenti di contrasto alla pandemia li hanno forniti proprio i privati e non lo Stato, rimarrebbe il gusto assai amaro del veder utilizzare e considerare una tragedia come la pandemia strumento privilegiato per riaffermare la propria visione politico-economica. Non sarebbe, in fondo, questa prospettiva una strumentalizzazione per fini economico-politici di una tale tragedia? La riaffermazione implica infatti una dialettica conflittuale, un tentativo di ristabilire una antica primazia, tutti concetti scivolosi quando parametrati a un evento come una pandemia.

D’altronde una frase come ‘adesso può sembrare utopia, ma credo che la strada sia già segnata ed è quella giusta. A noi tocca, su queste basi, rifondare il campo democratico e progressista’ l’ha scritta Roberto Speranza nella versione originaria del testo ed è rimasta intoccata, invariata, sfolgorante anche nella nuova edizione.
Non è ‘uso politico’ della pandemia e delle sue conseguenze, quello?
A me sembra di sì.