Giustizia, libertà e dignità umana
“Perché loro in carcere e non io?”: Papa Francesco mancherà ai detenuti. Morto lui, non muore la speranza
L’ultima uscita pubblica del Pontefice è stata a Regina Coeli. Non a caso: fu sempre presente tra i più dimenticati degli invisibili.

Papa Francesco non c’è più. Ci mancherà: lo piangono nelle carceri. Mancherà a quella popolazione ristretta negli istituti di pena a cui Bergoglio era legato da una costante, ininterrotta attenzione. Non a caso l’ultima uscita pubblica di un Pontefice già fiaccato dalla malattia era stata tra i “suoi fratelli detenuti”, a Regina Coeli. Ultimo atto di un Pontificato dedicato agli ultimi tra gli ultimi: a quei detenuti che la politica, le istituzioni, ma anche il mondo della cultura relegano nel dimenticatoio della coscienza.
Papa Francesco e la porta del Giubileo a Rebibbia
In un anno così significativo per la Chiesa e per il mondo intero, il Papa aveva già scelto di celebrare il giorno di Santo Stefano, il 26 dicembre, con un gesto andato ben oltre la semplice commemorazione liturgica. Aveva deciso di aprire in quell’occasione la seconda porta del Giubileo nel carcere di Rebibbia, un atto che ha un valore simbolico profondo e una portata che va oltre la sfera religiosa, toccando aspetti sociali, politici ed etici cruciali. Per tutta la durata del suo mandato pontificale Papa Francesco ha affrontato a viso aperto il tema del carcere e dei carcerati. Da sempre, questo Papa aveva mostrato una particolare sensibilità nei confronti dei più vulnerabili e marginalizzati della società.
Fin dai suoi primi anni di pontificato, ha spesso parlato della necessità di riformare il sistema penale, mettendo in luce l’aspetto umano della detenzione, spesso dimenticato. Nel 2016, per esempio, aveva già visitato il carcere romano di “Castelnuovo”, offrendo un messaggio di speranza e misericordia. Ma l’apertura della porta del Giubileo a Rebibbia rappresenta un momento particolarmente significativo. Il Giubileo, un anno speciale di grazia e perdono, rappresenta per la Chiesa un’occasione per riflettere sul concetto di misericordia divina e sulla possibilità di redenzione per ogni individuo, indipendentemente dalle sue colpe. La scelta di Papa Francesco di aprire una delle porte giubilari in un carcere, un luogo spesso associato alla punizione e all’emarginazione, risuona come un messaggio forte e provocatorio. Essa non riguarda solo la dimensione spirituale, ma anche quella sociale e politica. Il Papa non si limita a compiere un gesto di pietà, ma ci invita a riflettere sul significato profondo di giustizia, libertà e dignità umana.
Il carcere e la misericordia che non ha limiti
«Perché sono loro dietro le sbarre, in queste celle, e non io?», ripeteva. Aprire una porta in un carcere vuol dire simbolicamente aprire una via di accesso alla misericordia, alla possibilità di un nuovo inizio. Nel contesto del Giubileo, un anno che celebra la misericordia di Dio, l’apertura della porta nel carcere di Rebibbia è una chiara affermazione che la misericordia non ha limiti, non esclude nessuno, nemmeno chi ha commesso crimini. Papa Francesco, con il suo gesto, rifiuta l’idea di una giustizia esclusivamente punitiva, che vede nel detenuto una persona irrecuperabile, e propone invece una visione più inclusiva e umanizzante della giustizia. Papa Francesco si è voluto – e saputo – mettere tra i più poveri dei poveri, e tra questi ci sono i carcerati. Quindi, «il carcere è un luogo politico, non è semplicemente un luogo di pietà». La visita in carcere il giorno dopo Natale è un atto politico, economico, sociale, etico e quindi religioso.
La seconda parola, fondamentale, è speranza. Alla speranza è dedicato il Giubileo 2025. Dentro la casa circondariale di Rebibbia, Papa Francesco ne ha restituito un’immagine concreta e a tratti dolorosa: “A me piace pensare alla speranza come all’àncora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri […]. Delle volte la corda è dura e ci fa male alle mani… ma con la corda, sempre con la corda in mano, guardando la riva, l’àncora ci porta avanti. Sempre c’è qualcosa di buono, sempre c’è qualcosa che ci fa andare avanti”. Speriamo che, scomparso Papa Francesco, non tornino a scomparire davanti agli occhi, nelle menti e nei cuori delle persone quell’umanità profonda e disperata che affolla le celle delle nostre prigioni.
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