Oggi qual è il motivo che tiene Ilva a metà produzione?
Perché Meloni abolisce il “metadone di Stato” e poi proroga la cassa integrazione dell’Ilva?
Palombella (Uilm): “Oggi non si giustifica la cigs, per il Governo questa è la prospettiva industriale: impianti fermi e lavoratori a casa”

Mentre il ministro Urso a Manduria da Vespa ha detto che vuole aumentare la quota pubblica di Ilva e farla tornare a essere “la più grande fabbrica siderurgica d’Europa”, il governo Meloni ieri ha lasciato i lavoratori a casa. È accaduto nell’ultimo consiglio dei ministri, dove in sordina è stato firmato un decreto, presentato dal ministro della Pubblica Amministrazione Zangrillo, per prorogare la cassa integrazione straordinaria di 2.500 dipendenti dello stabilimento Acciaierie d’Italia di Taranto. Per questi infatti è già scaduto il tempo di 24 mesi di durata massima della cassa integrazione straordinaria. Che per definizione è legata a un periodo contingente di crisi di mercato.
Ma ad oggi qual è il motivo che tiene Ilva a metà produzione? Se prima c’era il covid, e poi la crisi energetica, oggi che il governo è già intervenuto con un decreto “bollette”, cosa ferma ancora la produzione? Soprattutto considerando che non vi è crisi di mercato, ma un prezzo con domanda e prezzi molto favorevoli. Il ministro Urso, che ha riportato il dossier al ministero dello sviluppo dopo che negli anni precedenti è stato alternativamente all’Ambiente e all’Economia, si è fissato che la soluzione sia “un maggiore intervento pubblico” nella società. Che al momento è presente con Invitalia al 40 per cento. Tecnicamente oggi, a suo dire, può aumentare la partecipazione quando vuole. E allora se l’intenzione è davvero quella del rilancio produttivo, perché non cogliere la palla al balzo con la richiesta di cassa integrazione, per riprendere in mano gli impianti? Perché invece ha deciso, seguendo esattamente la stessa linea del ministro Orlando lo scorso anno, di concedere la cassa? Con il decreto il governo ha previsto ulteriori 40 settimane di ammortizzatore sociale da fruire entro fine anno. Ma scommettiamo che poi a fine anno la prorogheranno ancora?
Non siamo infatti di fronte a un ammortizzatore sociale temporaneo, ma di un sussidio permanente. E agli oltre 2500 in cigs di Acciaierie d’Italia, vanno aggiunti gli altri 500 nel resto d’Italia e i 1600 sempre a Taranto in cassa integrazione sotto Ilva in amministrazione straordinaria. Che da piano Calenda, firmato durante il governo Renzi nel 2017, sarebbero dovuti essere riassorbiti da Acciaierie d’Italia tornado a lavoro ad agosto 2023. E invece quando Conte ha cambiato il piano nel 2020 questo accordo è saltato, senza che abbia avuto il coraggio di dire a quei lavoratori che non sarebbero più rientrati. Dobbiamo tenerli in cassa integrazione a vita? Una sorta di reddito di cittadinanza al quadrato (prendono circa 1300 euro al mese per stare a casa dal 2018)? Oggi stanno facendo 200 ore di corsi di formazione finalizzati alla rioccupazione, quanti di loro verranno reimpiegati all’esterno? Perché il governo Meloni che sta abolendo il sussidio grillino, considerandolo “metadone di stato” poi proroga e aumenta la cassa integrazione? Questo è il famoso “rilancio industriale” promesso? Quello che Urso chiama “stato stratega”?
Persino i sindacati metalmeccanici, che a differenza dei colleghi confederali hanno sempre difeso il lavoro piuttosto che i privilegi, si sono rifiutati di firmare l’accordo per la cassa integrazione. E non per polemica politica col governo di destra, non lo avevano firmato neanche l’anno scorso, quando il primo a concedere la cassa integrazione a 3mila lavoratori Ilva era stato il ministro del Pd Andrea Orlando. Che pure ora si erge a paladino del lavoro. Il segretario nazionale dei Metalmeccanici Uilm Rocco Palombella è stato chiaro: “Oggi non si giustifica la cassa integrazione. Se il governo si assume questa responsabilità vuol dire che questa è la prospettiva industriale che ha in mente: impianti fermi e lavoratori a casa”. Rispetto a questo, il discorso societario, l’unico che da anni i governi riescono a fare, è inutile. Fosse pubblica Ilva, i lavoratori tornerebbero sugli impianti? La produzione aumenterebbe? La società tornerebbe in utile, senza pesare sulle casse dello stato e quindi dei contribuenti che oggi pagano la cassa integrazione? E a dicembre, quando questa proroga di cassa scadrà, scommettiamo che il governo farà un’altra proroga?
Vale per Urso come per Orlando. Se c’è un piano che prevede esuberi, si chiamino esuberi. Come aveva avuto il coraggio di fare il ministro Calenda nel 2017. Quando invece l’anno dopo l’accordo lo firmò Di Maio e disse “in tre mesi ho risolto Ilva, a zero esuberi e con l’articolo 18” dal mese dopo si sono trasformati in cassa integrazione. Ma la cassa integrazione non è lavoro, non è sviluppo, e non può essere a vita.
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