Dalla forza riformista smentiscono le accuse dem
Perché Meloni ha visto Calenda: cosa c’è dietro l’incontro tra i due leader
Alleati no, utili forse. Ma anche guastatori oltre le linee nemiche. O cavallo di Troia della parte avversa. Uno nessuno centomila. Quante parti in commedia possono avere Carlo Calenda e Matteo Renzi? Qual è la vera faccia del Terzo Polo? Giorgia Meloni declinava tra sé e sé tutte queste e anche altre domande ieri mattina mentre aspettava nella Sala Verde di palazzo Chigi la delegazione del Terzo Polo, Carlo Calenda, i capigruppo Raffaella Paita e Matteo Richetti, l’esperto economico Luigi Marattin. Con Meloni, ad aspettare l’avversario politico i ministri Adolfo Urso e Giancarlo Giorgetti, i sottosegretari Fazzolari e Mantovano. Negli stessi minuti, finalmente, il testo della legge di bilancio ingrassato di una trentina di articoli e contenuto in 110 pagine (senza allegati) riceveva la bollinatura della Ragioneria e la firma del Capo dello Stato.
Se non fosse per tutte quelle domande che un leader politico, vieppiù se presidente del Consiglio, deve farsi per avere occhi e orecchi aperti 24h, i quasi novanta minuti con il “nemico” sono volati via lisci e stimolanti. Nessuna tensione, “una sana discussione” la definisce un rappresentante del Terzo Polo. Persino più piacevole – suggerisce qualcuno presente ad entrambe – di quella che la premier ha avuto ieri pomeriggio con i capigruppo della sua maggioranza. Succede, in politica ma non solo, che i ruoli vengano ribaltati. O percepiti come tali.
Il faccia a faccia tra Meloni e Calenda ieri ha foraggiato molti suggeritori e dato la parola ad altrettanti esperti di alleanze. Pone questioni di merito. E interrogativi di metodo.
Cominciamo da qui. Il Pd non ha dubbi. “Il Terzo Polo fa da stampella al governo Meloni, ha chiesto i voti per Draghi e adesso li dà alle destre” ha twittatto la vicepresidente Anna Ascani. “Se fa da stampella al governo, non è più opposizione” ha tagliato corto Matteo Ricci. Cinque stelle sulla stessa linea. Si cambia metà campo ma il giudizio non cambia, anzi. “A Calenda va mostrata la porta di uscita dalla maggioranza, non certo di entrata” ha chiosato il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè di Forza Italia. E i capigruppo azzurri Cattaneo e Ronzulli: “Il leader di Azione non dia lezioncine visto che sta all’opposizione. La maggioranza non ha bisogno di lui che è invece condannato all’irrilevanza politica”.
I sospetti identici e contrari la dicono lunga su tanti aspetti del quadro politico. Sullo stato di salute della maggioranza; delle opposizioni; sul timore del premier di perdere terreno al centro e di ritrovarsi schiacciata a destra; sui timori di Forza Italia di essere cannibalizzata da destra e dal centro. E, infine, sul fatto che il Terzo Polo stia facendo la partita che si era riproposto: diventare ago della bilancia nel dibattito politico. “Tra un annetto circa facciamo cadere il governo Meloni” ha precisato Matteo Renzi due giorni fa in tv. Diciamo a primavera 2024 quando ci saranno le Europee. “Non voteremo mai la manovra – ha chiarito ieri Calenda – dopodiché l’incontro è stato positivo, su alcune cose spero si possa lavorare insieme, ma posso rassicurare che il Terzo Polo non farà la stampella ad un governo di destra”.
Poi c’è la questione del merito. “È stata un’ora e mezzo di discussione sui temi della nostra contromanovra – spiega una fonte del Terzo Polo presente all’incontro – la Presidente è sembrata molto interessate e attenta. Un confronto utile”. Molto attenta, ad esempio, sul ripristino totale di Industria 4.0; sulla detassazione per gli under 30 e donne; sul Reddito di inclusione per i poveri al posto del Reddito di cittadinanza; sulla sostituzione del credito di imposta con il taglio netto a monte delle bollette. “D’accordo sulla riproposizione di Italia sicura, l’unità di missione per la sicurezza idrogeologica, non ci siamo invece trovati d’accordo sul decoupling tra elettricità e gas, niente da fare sul Mes per dare sei miliardi alla Sanità. Più possibilista sul finanziamento del Family act anziché disperdere un miliardo e mezzo per la famiglia con nuove misure”. È molto semplice, ha tagliato corto Carlo Calenda: “Non voteremo la manovra ma non faremo ostruzionismo e se vedremo che qualcuna delle nostre proposte sarà accolta, saremo ben contenti di votarla”.
Il Terzo polo ha preparato una contromanovra a saldi invariati – sempre 35 miliardi – ma investiti in modo diverso. “Questo è il nostro modo di fare opposizione: essere propositivi e non ideologici, lavorare per il Paese” ha ribadito Calenda. Non ha senso dire no a prescindere “come fa il Pd a cui abbiamo chiesto di fare una controproposta insieme ma non ci hanno risposto e invece preferiscono inseguire i 5 Stelle e Landini. Noi faremo il nostro lavoro di opposizione ma in modo corretto. E non esiste in alcun modo l’ipotesi che il terzo Polo possa fare da stampella al governo”.
Nel tardo pomeriggio Meloni ha incontrato i capigruppo della sua maggioranza. Il testo della manovra è stato bollinato, firmato dal Capo dello Stato e oggi arriverà finalmente alla Camera dove inizieranno le audizioni e il confronto. È tempo di stringere i bulloni e far andare la macchina che invece perde ogni tanto, ha il motore che picchia in testa e perde i colpi. Saranno tante le cose da aggiustare. L’obbligo di usare il pos solo dai 60 euro in su, ad esempio (che sa tanto di marchetta a qualche lobby) è ancora nel testo ma è destinata, come ha già precisato una nota di palazzo Chigi, ad essere “rivalutata alla luce anche del confronto con la commissione Ue”. I tecnici di Bruxelles sono arrivati ieri al Mef dove prenderanno visione della manovra e dello stato di avanzamento del Pnrr. E l’obbligo del Pos è una di quelle questioni di principio e di civiltà – oltre che di sicurezza – che difficilmente sarà annullata. Ma sono tanti i nodi su cui Meloni ha chiesto agli alleati di stringere i bulloni e andare avanti allineati.
Su Opzione Donna che è stata stravolta a pensione anticipata ma solo, nei fatti, per le donne caregiver (che hanno un malato in casa) o invalide al 74%. Torna in ballo anche la flat tax al 15% fino a 85 mila euro di reddito, una norma discriminatoria per i dipendenti pubblici o privati che a parità di reddito andranno però a pagare più del doppio di tasse. Potrebbero essere necessari aggiustamenti anche sul taglio del cuneo (giudicato troppo basso anche da Bruxelles) e sul caro bollette. Salvini sparge saggezza e prudenza ma ai suoi dice: “Dobbiamo ridefinire il perimetro. Così siamo percepiti come troppo uguali a Fratelli d’Italia”.
Così la premier ieri ha guardato gli alleati tutti in faccia – soprattutto Forza Italia – e ha chiesto di procedere sulla manovra con una “linea comune”, senza andare in ordine sparso, per garantire l’approvazione nel modo migliore e nei tempi previsti. Meloni ha assicurato circa la “disponibilità a valutare tutte le proposte” ma i tempi sono “strettissimi”. Tutti i partiti hanno detto di essere disponibili a “limitare la quantità di emendamenti”. Licia Ronzulli, capogruppo di Forza Italia, ha precisato: “I nostri emendamenti saranno di qualità”. Sulle pensioni e sugli under 30. Intanto Forza Italia, con Pd e Sinistra e Verdi, ieri sono stati determinanti per far cassare quell’emendamento Fdi-Lega che avrebbe rinnovato la missione Ucraina (con l’invio delle armi) usando un decreto che parla soprattutto di sanità. Un’altra mossa azzardata per il governo. Un altro passo indietro.
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