Anche oggi risponde domani
Perché Meloni tace sul caso Donzelli-Delmastro, le offese al Pd dalla sua ‘fiamma magica’

Dopo tre giorni, una dichiarazione spontanea e un’intervista a tutto campo in cui ha omesso la questione, Giorgia Meloni è riuscita ancora una volta a non rispondere sul caso Donzelli-Delmastro. Certo, non era ieri, in occasione del bilaterale a Berlino Italia-Germania, accanto il cancelliere Olaf Scholz e davanti alla stampa tedesca, il momento più adatto per affrontare un tema solo nazionale.
Ma dopo tre giorni in cui la premier ha evitato in ogni modo di dire la sua su una faccenda politicamente e tecnicamente così grave, era inevitabile che i giornalisti italiani le chiedessero di esprimere il suo pensiero anche in un contesto internazionale. “Cosa ne pensa dell’opportunità di quanto hanno rivelato l’onorevole Donzelli e il sottosegretario Delmastro, dell’uso politico che ne hanno fatto e rinnova la fiducia a questi suoi due stretti collaboratori?” è stata la domanda dell’inviato de La Stampa. “Su questo le rispondo domani perché qui non interessa” ha tagliato corto la premier con evidente stizza. “In generale, voglio fare un appello a tutti, trasversale, perché in Italia c’è una minaccia reale allo Stato, anche qui in Germania ne abbiamo avuto l’evidenza (l’attentato anarchico alla nostra ambasciata a Berlino, ndr), ci sono da oggi due nuove persone sotto scorta (Delmastro e Ostellari, ndr) e questa è una sconfitta per tutti”.
Appello ad abbassare i toni a cui il sottosegretario Delmastro continua a sottrarsi visto che ieri mattina, cavalcando un titolo de Il Fatto Quotidiano – alleato della destra manettara – ha accusato il Pd non solo di aver avuto un colloquio con Cospito (quattro deputati Pd, il 12 gennaio, ndr) ma di “aver anche accettato di fare l’inchino ai capomafia su indicazione dello stesso Cospito”. La malafede ormai è pane quotidiano: ciascun deputato può, anzi deve, andare in carcere a verificare le condizioni dei i detenuti, tutti e non di uno solo. In questo caso altri detenuti al 41 bis tra cui anche capomafia. Chissà se stamani la premier darà una risposta. È un fatto che il caso Donzelli-Delmastro continua a crescere, la minaccia anarchica ha ripreso quota e rischia di scappare di mano, il governo e la maggioranza escono spaccati da questa vicenda e la premier indebolita visto che non solo due suoi fedelissimi – il sottosegretario Delmastro e il responsabile del partito Donzelli – ma anche il ministro per cui si è spesa di più – il Guardasigilli Carlo Nordio – sono fortemente indeboliti da questa brutto e meschino caso.
L’ordine di palazzo Chigi è di chiudere qui la storia, evitare altri strascichi, senza vincitori né vinti, possibilmente. Da questa consegna nasce il pasticcio combinato giovedì sera tardi quando il ministro Nordio, da martedì balbettante e in evidente difficoltà, ha diffuso un comunicato stampa che cerca di assolvere Donzelli (“la scheda di sintesi che ha riferito in aula il 31 gennaio non è coperta da segreto e vincolata al segreto investigativo”) senza però poter negare che le informazioni diffuse erano sensibili e “non divulgabili”. Nonostante lo sforzo lessicale, e per questo facilmente smontabile, il ministro Nordio non può però superare l’ostacolo della “limitata divulgazione” di cui Donzelli e Delmastro, coinquilini quando sono in servizio nella Capitale, si sono colpevolmente dimenticati. Il ministro ha promesso ulteriori “approfondimenti” se saranno richiesti entro e non oltre il 15 febbraio. Non deve essere stato facile per una persona istituzionale, di ferrea cultura liberale e di sani principi istituzionali come Nordio, prestarsi ad un simile scempio di regole e principi.
Le opposizioni, tutte, dal Pd ai 5 Stelle passando per il Terzo Polo, chiedono le dimissioni di Delmastro da sottosegretario alla Giustizia, in alternativa chiedono al ministro il ritiro delle deleghe all’amministrazione penitenziaria (motivo per cui ha avuto accesso a quei documenti). Chiedono anche le dimissioni di Donzelli da vicepresidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sulla sicurezza. È quello il luogo della massima riservatezza, ai suoi componenti vengono affidati i segreti più delicati della Repubblica: con quale animo d’ora in poi, davanti a Donzelli, il presidente Guerini potrà condividere informazioni secretate? Ma la premier non molla i suoi fedelissimi. Semplicemente non può farlo.
Del resto li ha messi in quei ruoli così delicati per motivi strategici: uno sui dossier di Stato più delicati; l’altro a fare da cerbero al garantista Nordio. Mollarli ora vorrebbe dire sconfessare se stessa. E anche aprire una breccia nella sua “fiamma magica”, il cerchio magico che ogni leader in questi anni ha costruito intorno a sé a mo’ di fortino e che molto spesso è risultato inadeguato e fatale. Al di là delle intenzioni della premier, la “fiamma magica” è comunque ormai affievolita. Azzoppata. E questo, oltre ai problemi con Forza Italia e Lega – che escono rafforzati da questa storia – e a quelli interni con le correnti di Fratelli d’Italia che iniziano a mettere in fila errori, delusioni e scontenti (uno su tutti Fabio Rampelli), è un quadro d’insieme che certamente Meloni avrebbe volentieri evitato.
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