Quando si parla di Sicurezza e Difesa comune europea, si deve partire dal presupposto fondamentale della volontà politica. Per fare un salto di qualità nell’integrazione di una Unione europea che sia anche militare, è infatti necessario che gli Stati membri cedano competenze in materia alla stessa Unione.
Si dovrebbe dunque, come step iniziale, partire da una visione condivisa sul piano della politica estera: è inutile discutere di capacità operative militari comuni, se non esiste una effettiva politica estera comune. Lo strumento militare non è un valore di per sé, a differenza della politica estera, ma appunto resta uno strumento in suo supporto. Diventa dunque fondamentale andare alla ricerca della capacità, come europei, di individuare un nucleo di interessi comuni nell’ambito dello scacchiere internazionale, al cui supporto coordinare tutti i fattori comuni, compreso quello militare. E qui, torniamo alla politica: prevalgono gli interessi particolari interni, manca la volontà di comporre obiettivi comuni verso l’esterno dell’Unione. Senza leadership forti, capaci di imprimere impronte nella storia, non può nascere quella inesplorata dimensione politico-militare che supporti la proiezione politica globale europea.

Vanno poi considerati i problemi legati all’industria della difesa, che necessiterebbe di un coordinamento tra la varietà dei sistemi d’arma e le capacità produttive dei singoli Paesi, ricercando una sintesi lungimirante che non ne limiti l’efficienza. Ovviamente, oltre a motivazioni di tipo politico, esistono anche questioni strutturali. I sistemi sovranazionali, ancor più quelli relativi alla sicurezza, nascono sulle ceneri di shock e minacce superiori alle singole capacità intestine: nel dopoguerra, ad esempio, quella sovietica fu affrontata grazie all’ombrello americano. La Nato ha in un certo modo creato disinteresse in Europa alla costruzione di un sistema di difesa autonomo. Proprio qui va inserita l’indiscriminata aggressione russa all’Ucraina: essa ha rappresentato e sta rappresentando un monito per l’Ue, aumentando la consapevolezza sulla necessità di saper difendere la propria sicurezza. La stabilità dei confini dell’Unione tutta, si sta finalmente imponendo come valore assoluto, come esigenza. Le stesse azioni terroristiche di Hamas nei confronti di Israele degli ultimi giorni riportano queste discussioni nel dibattito pubblico e specialistico.

La soluzione ideale per un’unione di Stati sarebbe quella di dotarsi di un sistema difensivo a più livelli, dove i singoli membri mantengano – almeno in parte – le proprie forze militari, ma in cui l’unione centrale possa disporre di risorse militari autonome, separate (nel caso dell’Ue, come se agisse da 28esimo Stato). Una capacità militare controllata democraticamente, e utilizzata insieme o senza Nato. L’Europa si è trovata per decenni a non preoccuparsi del problema della sicurezza: con la fine della guerra fredda si è pensato che il solo scambio e commercio internazionale avrebbe risolto i conflitti tra Stati. Oggi questo problema si è ripresentato, sotto gli occhi di tutti, in maniera crudele e drammatica. Armonizzare la spesa europea in materia di difesa dovrebbe essere un passo doveroso al fine di dare il via a tale processo integrativo. Assicurare davvero la propria sovranità sarebbe però un passaggio obbligato fare di più a livello istituzionale – con un potenziamento della capacità decisionale esecutiva – e a livello economico, con risorse proprie, al fine di finanziare spese comuni. Per farlo, la soluzione più realistica sembra essere la possibilità che emerga un ridotto gruppo di Stati virtuosi, più stretti ed integrati, che possano agire da motore di rinnovamento verso il sogno di un’Europa politica, trainando a catena nel percorso i restanti Paesi membri.