Il destino e i confini dell’Ucraina saranno decisi nel breve periodo dalla guerra in atto fra l’esercito russo e quello di Kiev o anche, forse o almeno in una certa misura, dai colloqui in corso. Le forze militari di Putin avevano invaso il paese, sperando di giungere alla capitale e di rovesciare il presidente Zelensky, ma la resistenza dei soldati e della popolazione ucraini ha reso assai arduo questo disegno. L’ex armata russa sembra costretta a ripiegare verso l’est e il Donbass. Putin rischia di essere obbligato a una soluzione molto parziale che potrebbe anche indebolire la sua posizione a Mosca. In Russia non sono le elezioni che decidono della leadership politica ma le sconfitte militari.

Allo Zar postcomunista non può bastare il riconoscimento formale di ciò che aveva di fatto già annesso nel 2014: la Crimea e una parte del Donbass. In primo luogo, Putin non crede al diritto internazionale e un trattato per lui – come per tutti i prepotenti di questo mondo – è poco più che carta straccia. Il riconoscimento dello status quo precedente l’invasione potrebbe non essergli sufficiente. Soprattutto ha bisogno per il 9 maggio, il giorno della proclamazione della vittoria sovietica alla fine della Seconda guerra mondiale, di portare a casa come trofei della vittoria (parziale) pezzi del territorio ucraino. Il bombardamento a tappeto del porto di Mariupol gli può garantire il controllo completo del mare di Azov tra la Crimea e la Russia meridionale. E sembra puntare adesso alla occupazione della totalità del Donbass. È su questo fronte dell’est dell’Ucraina che – a meno di un successo delle trattative in corso – si svolgerà probabilmente la battaglia più feroce e probabilmente finale delle prossime settimane. Il ripiegamento delle forze militari russe da Kiev annunciato oggi va in questo senso.

Putin non si è dunque appropriato dell’Ucraina, non ha rovesciato Zelensky e non è riuscito con i suoi bombardamenti a terrorizzare completamente la popolazione civile. Gli resta la possibilità della conquista della parte est del paese che ha cercato di piegare e annettere. Ma questo dipende dall’esercito ucraino che l’autocrate russo e i suoi consiglieri militari hanno decisamente sottovalutato. Le armi, come sempre accade nelle guerre, definiranno la frontiera fra i due popoli che sono stati sino a oggi fratelli e ora si considerano nemici. Ci sarà poi non solo il compito oneroso della ricostruzione, da un lato come dall’altro della nuova frontiera. Sarà inoltre necessario definire e garantire lo status della Ucraina nel quadro delle relazioni internazionali, al confine fra l’Unione europea e la Russia neo-zarista.

E questo non sarà affatto facile. Da circa 30 anni il paese che confina con l’Unione europea lotta per avere un assetto politico democratico e Zelensky ha dato a questa svolta un contributo importante e ora per certi versi eroico. La Russia teme un sistema politico basato su libere elezioni alle sue porte. Il contributo che l’Occidente ha dato e può dare alla difesa della libertà della nazione ucraina sono le sanzioni che però da sole, oggi, non possono decidere dell’esito del conflitto fra gli eserciti sul territorio a sud della pianura sarmatica. Esse possono tuttavia piegare la Russia a più miti intenzioni. Ma non sarà facile poiché buona parte dei paesi dell’Unione europea dipende per il funzionamento delle sue industrie e per l’elettricità civile dal gas che compriamo alla Russia. Tuttavia, se la riconversione delle fonti energetiche viene accelerata, la dipendenza di vari paesi dal gas di Putin diminuisce e il potere negoziale nei suoi confronti sale, anche per gli assetti futuri della regione.

Se si vuole la pace bisogna armarsi per evitare la guerra. Da parte degli europei questo compito, dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale e con l’eccezione francese e britannica, era stato delegato agli Stati Uniti, che da tempo hanno inviato segnali chiari di una sempre minore volontà-capacità di assumerne i costi. La Germania lo ha capito, l’Italia dovrà fare la sua parte. Il tempo dei free rider è scaduto. Resta il problema della garanzia dell’indipendenza dell’Ucraina che non può essere affidata semplicemente a firme su trattati ai quali non credono tutti i segnatari. La pace oggi non si protegge con i fogli di carta. Ci vuole uno scudo militare per l’Ucraina e per le democrazie occidentali, simile a quello che il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt chiese all’inizio degli anni 80 del secolo scorso all’America. Ma questa volta la protezione della pace in Europa dovremmo pagarla anche noi.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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