Enrico Costa, parlamentare molto impegnato da sempre nel campo della giustizia e attualmente dirigente di Azione, ha fornito alla stampa i dati sulla responsabilità civile dei magistrati. I dettagli li trovate nell’intervista che pubblichiamo sul nostro giornale. Qui vorrei ragionare su una sola cifra: otto. Otto è il numero dei magistrati che hanno pagato (seppure in misura molto discreta) per i loro errori, i quali errori però sono stati pagati in misura assai maggiore dalle vittime. Chi sono le vittime? Gli imputati innocenti. Cioè quelle persone che sono finite in prigione pur non avendo commesso nessun reato e ci sono restate per qualche settimana, o mese, o anno.

Recentemente, ad esempio, vi abbiamo parlato dell’ex sindaco di Marina di Gioiosa, nella Locride, che fu prelevato dal letto nel quale dormiva una mattina alle cinque, quando aveva cinquantadue anni, trascinato via sotto gli occhi della sua bambina, e poi liberato quando di anni ne aveva ormai sessantadue. Cinque anni in cella. Poi assolto, in via definitiva. Qualcuno ha fatto almeno un rimproverino al Pm che aveva preso l’abbaglio? No, anzi, stanno pensando di promuoverlo procuratore di Milano. Andiamo bene. Ecco, allora guardiamo anche i numeri che riguardano gli errori giudiziari. Circa 1000 all’anno. Dunque negli ultimi undici anni (periodo durante il quale sono stati sanzionati questi otto magistrati) gli errori giudiziari che hanno provocato l’arresto di innocenti sono stati 11mila. Di questi 11mila errori ammettiamo pure che la metà fossero inevitabili, e dunque non prevedessero la sanzione (però l’errore di un medico, di un architetto o di un tranviere non è mai considerato inevitabile): ne restano 5.500, almeno, che erano evitabili. Otto di questi errori sono stati puniti, 5492 sono rimasti impuniti.

A voi sembra che questa sia una cosa ragionevole? E cioè che i cittadini non si possano difendere in nessun modo dalla sconsideratezza, o dalla inettitudine, o dal dolo e dalla persecuzione di rappresentanti dello Stato che, tra tutti gli altri rappresentanti dello Stato, sono quelli con il potere più grande, che spesso è un potere tremendo e devastante di vite, affetti, lavoro, amicizie, progetti? Gli unici – assolutamente gli unici – che con un sorriso beffardo possono privarti della tua libertà, della tua dignità, dei tuoi amori, e ridurti alla disperazione. Questi problemi che sto illustrando sono vecchi, e non sono mai stati affrontati. Oggi emergono in forme clamorose per via dello scompenso provocato dal rapido crollo del prestigio e della credibilità della magistratura. Chi scrive su questo giornale – lo sapete – a questo prestigio non ha mai creduto. Ma fino a qualche anno fa, e anche a qualche mese fa, la gran parte dell’opinione pubblica considerava la magistratura il regno del bene, dell’onestà, del rigore e dell’imparzialità.

Oggi il caso Palamara, poi il caso Amara, e poi a seguire le lotte feroci esplose tra le toghe, hanno reso evidente – credo – a chiunque sia in buonafede, che la magistratura è un luogo di potere inaffidabile e infetto. Devo ripeterlo ogni volta e lo ripeto: ovviamente non tutta la magistratura. Esistono alcune migliaia di magistrati (non molte migliaia) che se ne infischiano del potere e delle lotte di dominio, e esercitano con cultura, saggezza e anche umanità il loro lavoro. Vanno ringraziati, perché fanno la cosa giusta in condizioni difficilissime. Ma non sono la maggioranza. E comunque sono una minoranza esigua esigua esigua ai vertici della piramide. Il punto di degrado che riguarda i posti di comando della magistratura è un punto altissimo: una vetta. Persino il mondo della politica, se messo al confronto coi vertici della magistratura, appare un luogo di candore, onestà, ingenuità, senso del dovere e dell’onore.

Pensate a quello che sta succedendo in questi giorni, e che ci racconta Paolo Comi. Il procuratore della più importante procura di Italia, quella di Roma, dichiarato illegittimo (perché nominato con forzature e sotterfugi dal Csm, in assenza di titoli, un anno fa) che resta al suo posto mentre si scatena una operazione a largo di raggio di rinvii e di trame per impedire che sia sostituito e che il suo gruppo di potere sia indebolito (sto parlando della vicenda Prestipino). Partendo da questo quadro, fosco fosco, a voi sembra che si possa sperare in una rapida riforma della giustizia che cancelli le sciagurate controriforme Bonafede (processo eterno, leggi speciali – di tipo fascista – sulla corruzione, trojan, intercettazioni…) e che introduca la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, una massiccia depenalizzazione, la riduzione ai minimi termini nell’uso della carcerazione preventiva eccetera eccetera?

Ecco, la questione della carcerazione preventiva è strettamente legata al problema della responsabilità civile dei magistrati. Se fosse ridotta all’essenziale, poche centinaia di arresti all’anno, gli errori giudiziari sarebbero molti di meno o comunque molto meno gravi. Il problema di fondo non è quello di punire i magistrati colpevoli, ma di metterli in condizione di non sbagliare. Aumentando gli strumenti a loro disposizione per indagare correttamente, e riducendo gli strumenti a loro disposizione per punire. Soprattutto – ma non solo – per punire prima della condanna. Non credo che esista la possibilità di mettere mano davvero a queste riforme, con questa maggioranza e questo parlamento. I 5 stelle – e cioè la componente reazionaria del governo – sono in maggioranza, anche se il loro consenso si sta progressivamente assottigliando, e non permetteranno mai una riforma garantista. I 5 Stelle sono la componente più antiliberale che mai sia entrata nel Parlamento della Repubblica, e la loro illiberalità fa parte della loro ragion d’essere: non possono rinunciarci.

Per questo i referendum proposti dai radicali, e ora sostenuti anche dalla Lega, sono essenziali. Nessuno mette in discussione le ottime idee della ministra Cartabia. Ma i ministri non possono fare le riforme se non dispongono di una maggioranza parlamentare. E Cartabia non dispone di questa maggioranza. I referendum non sono un siluro contro la Cartabia, sono uno scudo per difenderla e aiutarla. Difficile vincerli? Può darsi, sicuramente bisogna fare i conti con una componente giustizialista e punizionista che è ancora fortissima nell’opinione pubblica italiana. Ma, visto che oggi ricordiamo, a cinque anni dalla morte, Marco Pannella, ricordiamoci anche di quando, quasi mezzo secolo fa, sostenne le ragioni di un referendum (il primo della storia della Repubblica), quello sul divorzio, che tutti credevano sarebbe stato vinto dai democristiani e invece fu vinto dai laici e mise fine al fanfanismo.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.