Cambiare il mondo del lavoro
Perché serve la settimana corta a parità di retribuzione: i tentativi delle grandi aziende di cambiare il mondo del lavoro
È un nuovo modo di lavorare che rende queste aziende attrattive in un momento in cui è difficile reperire sul mercato particolari professionalità
Era maggio del 2020 quando insieme ai colleghi Camillo D’Alessandro e Maria Chiara Gadda presentai alla Camera dei Deputati il progetto di legge 2490, titolato “Incentivo fiscale a favore delle imprese che riorganizzano l’attività dei loro dipendenti su quattro giorni lavorativi settimanali”. In altre parole, la settimana corta, di 4 giorni lavorativi, a parità di retribuzione. Devo dire con molta onestà che allora la nostra proposta venne accolta con un po’ di freddezza ed un certo scetticismo. I tempi, evidentemente, non erano ancora maturi, probabilmente noi deputati di Italia Viva, sempre molto propositivi ed attenti alle tematiche legate al mondo del lavoro, eravamo un po’ in anticipo nel suggerire una riforma di così ampia portata. A molti, ancorati stabilmente ad un modello di organizzazione del lavoro vecchio di decadi, risultava infatti difficile mettere da parte obiezioni, pregiudizi e titubanze per condividere un semplice e scontato principio: i profondi cambiamenti strutturali che hanno investito la nostra società ed il mondo del lavoro negli ultimi decenni richiedono necessariamente un cambiamento del modo in cui lavoriamo.
Perché serve la settimana corta di lavoro
Sono tanti i fattori che rendono oggi non più rinviabile la necessità di riorganizzare l’attività lavorativa, a partire dall’innovazione tecnologica, dall’automazione e dalla digitalizzazione, che hanno radicalmente sconvolto le modalità dell’attività svolta nei luoghi di lavoro, ma anche dallo sviluppo di una nuova consapevolezza ambientalista e della necessità di un riequilibrio di genere nei luoghi di lavoro. Ma più di ogni altro fattore pesa oggi la diversa concezione di lavoro che si è fatta strada nella società di oggigiorno, in particolare fra i più giovani: se fino a ieri il lavoro era visto quasi esclusivamente come fonte di reddito e di status sociale, oggi lo si considera come uno strumento di realizzazione personale, che certamente deve garantire una gratificazione economica, ma che primariamente deve assicurare qualità della vita e benessere psico fisico al lavoratore. Concezione che si è rafforzata dopo gli sconvolgimenti causati dall’epidemia di Covid 19, che hanno portato a fenomeni come la Great Resignation, impensabili ed inconcepibili fino a pochi anni fa. Con queste premesse, la settimana lavorativa di quattro giorni a parità di retribuzione può essere una giusta risposta, capace di mettere d’accordo e contemperare le esigenze di lavoratori e imprese.
Il tempo è il bene più prezioso che abbiamo a disposizione, sosteneva Seneca, e l’attività lavorativa organizzata su quattro giorni settimanali ne garantirebbe ai lavoratori maggiore disponibilità: quindi più tempo da dedicare alla famiglia ed ai propri interessi personali, maggiore benessere psicofisico, minore stress e rischio di burn out, maggiore soddisfazione e motivazione delle persone. In altre parole, una maggiore corrispondenza alla moderna e attuale concezione del lavoro ed al vecchio ma sempre attuale slogan “lavoriamo per vivere ma non viviamo per lavorare”. Da non dimenticare poi, fra gli “effetti collaterali” della rimodulazione della settimana lavorativa, la possibilità di incremento di consumi ed investimenti, che potrebbero avere effetti moltiplicativi sulla produzione ed in ultima istanza sull’occupazione, i benefici per la sostenibilità ambientale, con il calo del pendolarismo e la minore circolazione di auto, il sostegno all’occupazione femminile, favorita dalla riduzione delle giornate lavorative.
Le sperimentazioni della settimana corta
Sul fronte delle aziende, la settimana lavorativa di quattro giorni, laddove è stata introdotta, ha dimostrato che produttività e benessere dei lavoratori non sono in conflitto, anzi. Le sperimentazioni condotte in Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti e Spagna hanno dato risultati positivi in termini di produttività e fatturato al punto tale che molte aziende, concluso il periodo di sperimentazione, hanno convenuto di adottare in maniera definitiva questo tipo di modello. Ampliare le opportunità di conciliazione vita–lavoro e mettere al centro il well being dei propri dipendenti si è dimostrato essere per le aziende un fruttuoso e vincente investimento. L’attenzione nei confronti dei lavoratori, la volontà dell’azienda di migliorare la qualità della loro vita, anche prendendosi in carico qualche onere e costo in più, che nel nostro progetto di legge sarebbe stato seppur parzialmente compensato da una riduzione dell’IRAP, avrebbe come “contropartita” una crescita dell’engagement dei lavoratori, incrementando il loro coinvolgimento ed il senso di appartenenza aziendale.
Sentirsi parte attiva della realtà aziendale, condividerne i valori e la visione, essere consapevole di avere un ruolo ben definito ed apprezzato di una squadra impegnata a raggiungere un traguardo condiviso vuole dire anche contribuire con consigli e suggerimenti a migliorare la capacità e la produttività dell’azienda. In poche parole, un dipendente soddisfatto della sua funzione in azienda, è portato a dedicare al lavoro non solo il suo tempo, ma anche la sua energia, la sua passione e la sua esperienza. E questo, in una realtà produttiva, fa la differenza.
Dividere gli utili aziendali
Esiste anche un altro strumento, che insieme alla modulazione della settimana lavorativa su quattro giorni, potrebbe contribuire e rafforzare e favorire il raggiungimento di questo obiettivo, che è la condivisione degli utili aziendali, oggetto di una mia proposta di legge del 2021. Uno strumento che non è certamente nuovo, visto che già la nostra Costituzione all’art. 46 prevede che “la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”, ma che ritengo sia stato fino ad oggi fortemente sottovalutato, per non dire ignorato.
Coinvolgere i lavoratori nella gestione dell’impresa e nella condivisione degli utili significa creare un fruttuoso patto fra il capitale ed il lavoro, superando i conflitti fra i lavoratori e le imprese, che spesso si sentono su fronti diversi, in nome di un comune e condiviso interesse alla crescita dell’azienda e del benessere dei dipendenti. Si verrebbe in questo modo a creare un clima di forte appartenenza, un lavoro di squadra dove ogni lavoratore si sentirebbe imprenditore, impegnato “a far andar bene la fabbrica”, il cui successo sarebbe un successo di tutti, perché l’interesse del dipendente verrebbe totalmente a coincidere con l’interesse dell’azienda. E la condivisione di una quota degli utili aziendali a fine esercizio andrebbe altresì a valorizzare economicamente le retribuzioni, cosa di non poco conto in un Paese che vede una drammatica discesa del potere di acquisto dei lavoratori.
Gli esempi delle grandi aziende italiane
Certo, per un’azienda riorganizzare l’attività lavorativa su quattro giorni invece che cinque e decidere di distribuire ai dipendenti una quota degli utili aziendali non è un passaggio semplice, serve tempo, grande impegno, un po’ di coraggio e soprattutto la capacità di modulare la nuova organizzazione sulla base del contesto in cui l’azienda si trova ad operare, tralasciando l’idea di poter trovare una soluzione standard applicabile a tutte le imprese ed a tutti i settori. Ogni azienda, in altre parole, dovrà trovare la sua strada. Ma nonostante le difficoltà inevitabilmente legate a un cambiamento certamente radicali, qualcosa si sta muovendo anche nel nostro Paese. Dopo Lavazza e Banca Intesa, è proprio di questi giorni la notizia che anche Lamborghini e Luxottica, due gruppi simbolo del Made in Italy, si apprestano a introdurre la nuova forma di organizzazione del lavoro, che sarà affiancata anche da un rilevante potenziamento delle forme di welfare aziendale. Due progetti sperimentali approvati e concordati con i sindacati, che resteranno in vigore per il triennio 24-26 e che presentano, come facilmente prevedibile, modalità operative diverse ma sempre e comunque caratterizzate dalla volontà delle aziende di mettere al centro il benessere dei propri lavoratori.
Un nuovo modo di lavorare, che rende queste aziende particolarmente attrattive in un momento in cui è difficile reperire sul mercato particolari, specifiche professionalità, una nuova visione del rapporto azienda – dipendente frutto di profonda cultura aziendale e di preziosa lungimiranza di tutti gli attori in campo. Un progetto che, se associato alla condivisione degli utili aziendali, potrà rinnovare profondamente il nostro modo di lavorare, permettendo ad aziende e lavoratori di affrontare con più slancio e più forza le difficili sfide che li attendono. Ed è una grande soddisfazione pensare che noi di Italia Viva avevamo proposto questo cambiamento e questa attenzione e vicinanza alle imprese ed ai lavoratori già tre anni fa.
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