Il governo guidato da Giorgia Meloni sta per presentare all’Unione europea il Progetto di Bilancio Pluriennale, il documento che contiene i principali dati macroeconomici del paese ma soprattutto le azioni che si metteranno in campo per garantire il rispetto del Patto di Stabilità. Il deficit italiano per l’anno in corso, infatti, è previsto al 4,5 per cento del prodotto interno lordo. Proprio per questo, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione per debito eccessivo che, secondo i dettami del nuovo Patto di stabilità, obbliga l’Italia ad una correzione dei conti pari a circa lo 0,5 per cento del Pil. Tradotto in soldoni: un taglio delle spese di circa 13 miliardi di euro in sette anni. L’obiettivo, infatti, è riportare il deficit/Pil al di sotto del 3 per cento.

Tagliare il debito

Il debito pubblico italiano è oramai alla soglia dei 3 mila miliardi di euro; cifra che, secondo molte previsioni, sarà raggiunta proprio nel 2024. Non solo. Entro la fine dell’anno, l’Italia dovrà versare interessi per circa 96 miliardi di euro. Una cifra enorme che da sola dovrebbe far capire perché è assolutamente necessario ridurre il debito pubblico. La sua riduzione, infatti, non deriva solo da politiche di stampo neo liberiste o ultra capitaliste ma dalla necessità di evitare il fallimento del paese. Anzi, una vera agenda riformista non può prescindere da un serio programma di riduzione della spesa pubblica. Per capirne i motivi, basta pensare proprio alla cifra degli interessi che, in base a molte proiezioni, il prossimo anno arriveranno a 100 miliardi di euro. Per intenderci: cinque finanziarie pagate in un anno. O, se vogliamo essere più chiari, una cifra di sette miliardi più grande di quanto lo Stato italiano spende per la scuola.

L’agenda

Se si riuscisse in una seria politica di tagli, il governo si troverebbe a gestire molte risorse liberate proprio dalla spesa annuale degli interessi. La quale, nel corso del 2025, salirà a 106 miliardi e arriverà a 112 miliardi nel corso del 2026. Non solo. Basti pensare che nel 2024, nel Bilancio dello Stato sono indicati rimborsi di prestiti per 328 miliardi di euro; nel 2025 questa cifra scenderà a 293 miliardi per tornare a risalire a 341 miliardi di euro nel corso del 2026. Tra interessi e rimborsi di prestiti, nel corso del 2024 l’Italia pagherà 424 miliardi di euro. Tenendo conto che il totale delle spese dello Stato ammontano a circa 1.100 miliardi, si comprende bene l’impatto del debito pubblico sul bilancio dello Stato.

Quante interventi sociali si potrebbero fare riducendo la spesa pubblica di interessi e di rimborso in conto capitale? Quanti aiuti ai cittadini e alle imprese si potrebbero mettere in campo con una seria parabola discendente del debito? Quante risorse si potrebbero destinare alla sanità, alle infrastrutture, alla scuola se si riuscisse a tagliare la spesa statale? I fautori del debito ad oltranza oppongono a questo ragionamento un’analisi relativa all’impatto del debito pubblico sul prodotto interno lordo. Portando ad esempio gli interventi varati durante e dopo la crisi del Covid (il Superbonus tra tutti), si evidenzia come gli investimenti dello Stato abbiano fatto salire il Pil anche al 7 per cento.

E quindi, secondo i detrattori della disciplina di bilancio, spendere bene equivale a far crescere il paese. Questa asserzione, però, è vera in parte: se da un lato crescere il prodotto interno lordo, dall’altro aumenta il debito in valore assoluto. Ciò rende più costoso l’accesso al mercato da parte del nostro paese e quindi sale la spesa degli interessi. Dunque le maggiori entrate generate grazie all’aumento del Pil vengono sistematicamente fagocitate dalla spesa per interessi e dal rimborso delle quote capitali.

Riformismo alla prova

Nel cuore dell’agenda di un sincero riformismo, dovrebbe pertanto esserci il taglio del debito. Attenzione, non i tagli orizzontali di Monti e nemmeno quelli proposti con “l’accetta” per far quadrare i conti. Un ragionato intervento che sterilizzi la cosiddetta spesa improduttiva, cioè quegli investimenti dello Stato che non generano un moltiplicatore apprezzabile. La spesa corrente, in modo particolare, in Italia genera un moltiplicatore al di sotto di uno; mentre quella di investimenti superiore a uno. Ecco perché bisognerebbe privilegiare questa seconda spesa rispetto alla prima. Senza dimenticare la necessità di un patto generazionale. Ogni euro di debito pubblico fatto oggi è un fardello che mettiamo sulle spalle dei nostri figli. Un’ingiustizia enorme.

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