Alla riffa delle tariffe ieri sera alla Casa Bianca, Donald Trump celebrava il suo rito più amato: l’emissione dei dazi doganali sui prodotti esteri che secondo lui, dopo una prima mazzata sull’economia che già si sente in tutti i settori, avrebbe inaugurato l’età dell’oro e dell’equità commerciale. Doveva essere il “dies irae” contro tutti i parassiti mondiali della ingenua e generosa bontà americana, senza essere “reciprocal” e così alla fine dissanguando il tax payer, l’onesto contribuente americano. Trump ripeteva “noi abbiamo aiutato tutti, ma loro mai”. E le voci sulle dimissioni di Elon Musk dal Dogeche ieri Politico ha dato per prossime – aggiungono incertezza all’incertezza, indicando quali e quante tensioni agitino il Dipartimento di Stato.

Ma torniamo ai dazi: la tassazione certa si aggira sul 20%, ma rimangono riserve sull’entrata in vigore perché i criteri sono apparsi incomprensibili. Con un connotato emotivo di rabbia. Arrivavano inoltre cattive notizie su inflazione, recessione e disoccupazione e, più di tutto, indiscrezioni infauste secondo cui gli europei avrebbero dato prova di compattezza e velocità di spirito. Gli alleati di sempre, Europa e Canada ma forse anche Corea del Sud, scioccati dal tradimento americano, si coalizzano. Trump lo sa e lo teme, tanto da aver minacciato dazi ancora più alti in caso di rappresaglia. Il Canada ormai è diventato un membro distante ma integrato dell’Ue e fa da ponte con il Regno Unito. Ad Oriente, la Cina fa causa comune con Giappone e la Corea del Sud.

“Trasferitevi in America”

E l’Italia? La minacciata tariffa del duecento per cento sul Chianti è sospesa. Ma il danno è lo stesso perché gli esportatori si sono tenuti alla larga dal nostro vino. Che senso ha questa guerra del dispetto e delle contromisure? Lo scopo finale sarebbe quello di sedurre le aziende straniere e spingerle a trasferirsi in America per inaugurare l’età dell’oro. Perché questa possibilità si verifichi occorrerà molto tempo. Ma su ciò che accadrà all’America le previsioni indicano lacrime e sangue, carenze di beni commerciali specialmente cinesi mentre sale l’inflazione, scendono le borse e vacilla l’occupazione. Il senatore repubblicano John Kennedy spiega al New York Times che tutto questo apparato di propaganda e punizioni esemplari porterà secondo lui a una catastrofe: “La verità dei fatti è che nessuno ha previsto niente, nessuno è in grado di prevedere niente e dunque non si sa che cosa succederà nel breve termine”.

La vecchia scuola del partito repubblicano diffida del mito trumpiano dell’età dell’oro e vede incertezza, approssimazione e studi incompleti anche perché questa storia delle tariffe imposte in modo ideologico è totalmente nuova, mai avvenuta. Tesla ha frenato la sua continua discesa solo dopo i rumors sul ritorno di Musk ai suoi affari. Il mercato è per ora insensibile alle grida di Trump quando ripete che finora America è stata “ripped off” (fottuta ndr.), in primo luogo dagli europei per non parlare dal Canada e dal Messico. Il punto è che una scioccante e rivoluzionaria operazione economica si rivela per ora soltanto una avventura narcisistica. Anche se fosse vero che gli alleati dell’America sono colpevoli per avere sbafato la sicurezza militare e avere esportato negli Usa raffinati prodotti senza bilanciare gli scambi, nulla e nessuno può essere sicuro che le tariffe sui beni esteri daranno ossigeno a quelli americani.

La perdita di posti di lavoro

Una delle tariffe più controverse è quella annunciata da Trump del 25% sulle automobili straniere, ma il mercato non dà alcun cenno di una impennata nella vendita delle auto americane: milioni di milionari americani che comprano la Mercedes continueranno a comprarla a qualsiasi prezzo. Mentre si ascoltavano e si leggevano le tabelle arrivava la conferma che l’Europa (come Canada e Giappone) raggiungerebbe una sorta d’unione sacra che comprende la Cina. Che è il cuore del mercato americano almeno quanto l’America lo è del mercato cinese. Gli esperti stimano i danni a breve termine con una preoccupazione crescente per le perdite di posti di lavoro, il calo di Wall Street e l’aumento dell’inflazione. Ciascun think tank elabora proposte alternative a quelle che intanto si aggiravano sul venti per cento. Le simulazioni più avanzate sono quelle del New American Security Center che confronta bilancio economico e costi della sicurezza, con la partecipazione anche di funzionari dell’epoca di Biden.

La prima impressione è quella di una drammatica valutazione del rischio dopo aver valutato le contromisure opposte dagli alleati degli Stati Uniti, tra i quali paradossalmente viene inclusa la Cina che, benché superpotenza ostile è un partner commerciale più importante di Canada e Messico colpiti dalle tariffe su acciaio e alluminio. La politica personalistica di Trump domina dunque la scena americana e del mondo con il varo di un programma avventuroso e pieno di ostilità, sicché in questo momento prevale l’incertezza confermata dal costo astronomico delle uova e dalla delusione dei lavoratori dell’auto che non vedono ancora tracce del promesso futuro radioso.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.