Il modello dei talk show in crisi
Perché vogliono chiudere CartaBianca: la censura si abbatte sulla Berlinguer perché fa parlare i pacifisti
Da anni il modello dei talk show è entrato profondamente in crisi. Nell’ultimo decennio sono stati la cassa di risonanza di populisti e sovranisti creando quella cultura della pancia che non c’entra niente con la riflessione, la comprensione, la valutazione della complessità. Eppure tutti zitti. Perché a dettare legge erano e sono (quasi sempre) gli ascolti. Basta vedere una puntata di qualsiasi talk per capire che cosa è avvenuto in questi anni: in queste trasmissioni non funziona la disamina dei problemi, né la veridicità dei fatti, ma la polarizzazione delle posizioni sia che siano vere e serie sia che siano funzionali a creare il dibattito o meglio la rissa tv che è ormai diventata un vero e proprio genere. La scazzottata tra Mughini e Sgarbi ha fatto il pieno di ascolti, per dire che cosa va più di moda.
Se vogliamo parlare di questa tendenza, sarebbe una buona idea. In realtà l’attacco nei confronti di Bianca Berlinguer non ha niente a che vedere con una serie autocritica del mondo dell’informazione, né con gli ascolti. Nelle ultime settimane, da quando è iniziata la guerra, la giornalista ha dato spazio a posizioni critiche nei confronti dell’occidente e lo share è aumentato in alcuni casi vincendo anche la concorrenza del martedì. Ma insieme agli ascolti sono aumentate anche le polemiche e la conduttrice di Carta bianca è finita nel mirino della dirigenza Rai, lasciata sola dalle forze politiche come il Pd che fino a poco tempo fa l’avevano sostenuta. Il rischio è che il suo programma venga chiuso, e sarebbe veramente grave che questo accadesse in un momento in cui si stanno restringendo gli spazi democratici e che è difficile sostenere posizioni diverse dal mainstream giornalistico e politico italiano.
Diversi sondaggi, l’ultimo pubblicato ieri su Repubblica, dicono che tre italiani su quattro sono contrari all’invio delle armi e che sono sostenitori della via diplomatica. I motivi sono diversi, non tutti riconducibili al pacifismo. Pesano molto la preoccupazione per l’allargarsi del conflitto e per le ricadute economiche. Questioni comunque serissime che andrebbero ascoltate. Si capisce che chi guarda voglia sentire anche le voci dissonanti, voglia sentire anche l’altra campana che spesso coincide anche con quella personale. Chi sostiene le ragioni dell’intervento ed è filo Biden non dovrebbe avere paura di posizioni differenti, anzi dovrebbe sperare che il dibattito, proprio perché è in corso una guerra terribile, resti più vivo che mai. Invece oggi si invoca la censura, si fanno liste di proscrizione e si denigra chi è a favore della pace, spacciandolo per filo Putin.
C’è un aggressore, Putin, e un aggredito, il popolo ucraino. Ma per uscire da questa crisi, che rischia di espandersi, ci sono pareri diversi. Pareri che è giusto mettere a confronto. Se poi si vuole iniziare una discussione seria sulla tv, il suo ruolo e come fare informazione, facciamolo seriamente. Dovremmo partire da lontano: dall’idea del servizio pubblico, di quale informazione si voglia fare, dopo decenni di populismo e giustizialismo. sarebbe una buona occasione per ripensare e chiudere un capitolo che ha avuto pesanti ripercussione sulla vita politica e pubblica. Dai migranti ai processi sono stati anni in cui la tv ha giocato un ruolo decisivo e negativo. Oggi prendersela con Berlinguer perché ospita personaggi scomodi è sbagliato. Suona come una censura: uno stop alla giornalista, uno stop alla libertà d’informazione e forse anche uno stop al buon senso.
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