Il tour in Europa
Perché Xi Jinping è stato in Francia, Serbia e Ungheria: il piano cinese per distaccare Ue e Usa
Francia, Serbia e Ungheria sono i tre paesi selezionati dal presidente cinese Xi Jinping per il suo tour europeo di questi giorni. Perché questa scelta così singolare? È semplice: tutti e tre questi paesi sono funzionali alla strategia di Pechino di insinuarsi nelle crepe della Ue e della Nato per approfondirle. Al di là della valutazione contrastante sulla guerra di aggressione della Russia all’Ucraina, il presidente francese Emmanuel Macron è l’interlocutore europeo preferito da Xi per i suoi continui richiami all’autonomia strategica europea e per il fatto di aver definito la Nato in uno “stato di morte cerebrale” nell’intervista all’Economist del novembre 2019.
Nella visione del presidente francese, Xi vede l’opportunità di favorire il progressivo distacco dell’Europa dagli Stati Uniti. Un modo per indebolire Washington e l’intero ‘mondo libero’ in vista della competizione strategica globale che Pechino ha avviato soprattutto nell’Indo-Pacifico con una postura sempre più aggressiva nei confronti dei paesi circostanti: Taiwan, Filippine, Giappone, Australia, India. La Cina è in conflitto con gran parte dell’Asia per estendere i suoi territori, ma vuole estendere la sua sfera di influenza anche nella vecchia Europa. Allo stesso modo, la visita di Xi a Belgrado – definita ieri “storica” da Ana Brnabic, presidente del parlamento serbo ed ex premier – serve a ravvivare il risentimento serbo contro l’Occidente.
Pechino non riconosce l’indipendenza del Kosovo bensì, chiarisce Brnabic, lo “considera una provincia autonomia che fa parte del territorio della Serbia”, guidata oggi da un presidente filo-russo: Aleksandar Vučić. Da parte sua, il governo di Belgrado rispetta la politica dell’‘unica Cina’ e non riconosce l’indipendenza di Taiwan. La Cina è oggi il maggior investitore straniero in Serbia, con un flusso di 1,3 miliardi di euro nel 2023, quasi un terzo di tutti gli investimenti esteri affluiti in Serbia. Ieri Xi, dopo aver ricordato il rapido moltiplicarsi degli investimenti cinesi nel paese balcanico, in particolare nei settori dell’industria pesante e mineraria, dell’energia e delle infrastrutture stradali e ferroviarie, ha ribadito la condanna dei bombardamenti Nato sulla Serbia della primavera 1999, nei quali esattamente 25 anni fa, il 7 maggio, fu colpita l’ambasciata cinese a Belgrado con la morte di tre giornalisti cinesi. Un evento simbolico che serve a Pechino per dimostrare la natura aggressiva e la ‘mentalità da Guerra Fredda’ dell’Alleanza Atlantica e per approfondire il risentimento dei serbi nei confronti degli Usa.
L’ultima tappa della visita del leader cinese è l’Ungheria, dove Viktor Orbán gioca da sempre a fare il cavallo di Troia di Putin nell’Unione europea. A Budapest, Xi inaugura un impianto di fabbricazione di Great Wall Motors, una delle aziende protagoniste del settore delle auto elettriche, un settore nel quale Pechino è diventato progressivamente leader mondiale non soltanto grazie a un’obiettiva crescita delle sue competenze tecnologiche ma anche grazie ai bassi costi della manodopera e ai portentosi sussidi di stato che avvantaggiano le aziende cinesi nei confronti di quelle europee e americane. Proprio per questi motivi, l’Ue ha avviato delle indagini sulla concorrenza sleale della Cina e, probabilmente, imporrà dei dazi alle aziende del Dragone. Tuttavia, con l’inaugurazione della fabbrica a Budapest, Pechino vuole dimostrare di essere capace di perseguire comunque i suoi interessi commerciali sfruttando gli accordi bilaterali con i paesi europei free rider come l’Ungheria.
La Cina non è nuova a questo tipo di accordi. Fino a pochi anni fa, la cooperazione di Pechino con i paesi dell’Europa centro-orientale (PECO) – meglio nota come “17 + 1” – è stata esibita come il fiore all’occhiello della politica estera cinese, ma ha messo in allarme l’Unione europea che oggi considera infatti la Cina come un ‘rivale sistemico’. Anche l’Italia aveva abboccato alla politica di espansione strategica e commerciale cinese aderendo nel 2019 alla Belt and Road Iniziative. Si trattava però del governo Conte I, espressione della sgangherata maggioranza populista gialloverde. Alla ricerca di legittimazione a Washington, Giorgia Meloni non ha più rinnovato quel memorandum d’intesa con Pechino, riportando alla normalità il sistema delle relazioni internazionali dell’Italia con Usa e Cina.
Resta il fatto che Bruxelles continua a temere la distorsione del mercato con l’arrivo di prodotti cinesi a prezzi più bassi e si appresta a contromisure formali rilevanti. Ma la questione più urgente per l’Europa, resta il sostegno della Cina alla guerra di aggressione della Russia all’Ucraina. Pechino ha sempre esibito la propria neutralità rispetto al conflitto, addirittura autopromuovendosi come agente della pace. Ma la proposta di accordo formulata dal ministro degli esteri cinese è rimasta una finzione, zeppa di condizioni unilaterali a vantaggio di Mosca. Del resto, Xi Jinping ha assicurato ogni tipo di sostegno diretto, finanziario o militare, all’industria della difesa russa impegnata nel conflitto. Nel corso della sua visita a Parigi, Emmanuel Macron e Ursula Von der Leyen hanno invitato di nuovo Xi a parlare con Putin per convincerlo a interrompere le ostilità. Ma chi pensa di bloccare Mosca con l’aiuto di Pechino resterà con ogni probabilità deluso.
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