L'intervista
“Permesso di tre mesi per immigrati è una barzelletta”, sulle regolarizzazioni parla Livi Bacci
Il lungo vertice di domenica notte non è bastato. L’accordo sulla regolarizzazione dei migranti, smentito ieri dal sottosegretario agli Interni, Carlo Sibilia, resta ancora in salita. L’ala salviniana dei 5 Stelle capitanata da Crimi, ma pilotata in remoto da Di Maio, resta ancora sulle barricate. Ne parliamo con Massimo Livi Bacci, uno dei più autorevoli demografi internazionali.
Professore, tra le ipotesi che si fanno strada su come regolarizzare i lavoratori immigrati c’è quella di dare loro un permesso di un mese o al massimo tre. Qual è la sua valutazione?
La regolarizzazione delle centinaia di migliaia di irregolari che si trovano sul territorio nazionale è un provvedimento sicuramente opportuno per più di una ragione. C’è una motivazione legata alla sicurezza sanitaria della collettività minacciata dall’epidemia di coronavirus. Gran parte degli irregolari vivono in condizioni abitative degradate, siano queste baraccopoli, edifici occupati, strutture industriali dismesse, alloggi di fortuna. L’igiene è assente, l’addensamento elevato, i presidi sanitari di accesso problematico anche per la riluttanza degli irregolari ad accedere ai servizi ospedalieri. Si tratta dunque di situazioni nelle quali le malattie infettive prosperano, e i contagi si moltiplicano. Se questo non farà molte vittime tra gli irregolari si deve alla loro giovane età; nei fatti però essi possono essere portatori asintomatici del virus. Il blocco, o serrata, (per favore: non lockdown!) non funziona per chi vive in alloggi precari. Impossibile sarà poi operare il tracciamento, virtuale o fattuale che sia. Il permesso di uno o tre mesi è poi una sorta di barzelletta, perché allo scadere dei termini, quasi nessuno rientrerebbe in patria, e si ricomincerebbe da capo.
La ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova aveva sostenuto la necessità di una regolarizzazione dei migranti lavoratori.
Una risposta molto sensata per affrontare il problema della mancanza di braccia nel periodo della massima attività dell’agricoltura. Un provvedimento del genere dovrebbe essere esteso però alle altre attività, anch’esse penalizzate dal blocco della mobilità internazionale. Molti collaboratori e collaboratrici familiari hanno preferito rientrare in patria dai loro congiunti, nei paesi dell’est europeo, e penso che questo sia avvenuto anche in altri settori, lasciando sguarniti del loro sostegno lavorativo famiglie e piccole imprese. Però gli irregolari che non troveranno né l’imprenditore, né la famiglia disponibili ad offrire un contratto regolare resteranno esclusi, nell’ombra, continuando a costituire un problema per la sicurezza sanitaria. Sarebbe saggio allora fare emergere tutti (salvo chi ha conti aperti con la giustizia), con permessi di soggiorno temporanei, eventualmente da rinnovare a certe condizioni. Tutti dovrebbero essere individuabili e rintracciabili. È in questo senso, tra l’altro, che va la proposta dell’Accademia dei Lincei, formulata dalla Commissione sul Covid-19. L’opinione pubblica è disorientata e disinformata dall’uso di parte che da anni viene fatto della questione migratoria. La classe dirigente, ma non mi riferisco solo a quella politica, è esitante, e lo è anche quella parte che considera l’immigrazione un vantaggio per la società.
La pandemia cambierà il governo dei flussi migratori?
C’è il pericolo di un annacquamento del principio della libera circolazione nello spazio europeo, di un inasprimento delle politiche restrittive che già sono in atto in Europa da più di un decennio. Molto dipenderà da quanto duramente saranno colpite le regioni dalle quali provengono i flussi migratori, da quando ci si potrà avvalere di farmaci e vaccini su larga scala. Se la pandemia verrà rapidamente circoscritta e depotenziata può darsi che gli effetti negativi per la mobilità rimangano transitori. Tuttavia le misure del distanziamento, del confinamento, del blocco della mobilità, della chiusura delle frontiere (magari anche di quelle tra regioni!), condite con gli inevitabili meccanismi di controllo nella fase acuta, piacciono a chi ha una concezione autoritaria dello Stato, e ha opinioni ostili all’immigrazione. Sono carte che possono essere giocate, appunto, da sovranisti, nativisti, isolazionisti di varie scuole e confessioni.
L’epidemia ha messo allo scoperto fragilità e inadeguatezze dei sistemi sanitari nel mondo ricco in generale. Non dimentichiamo però che proprio a questi sistemi sanitari dobbiamo i grandi progressi della sopravvivenza degli ultimi decenni. È mancato un coordinamento. Ogni paese ha elaborato le proprie strategie di difesa, senza un disegno globale. In Europa esiste un’agenzia della Ue (Ecdc, Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie) che avrebbe il compito di sentinella rispetto alle nuove patologie e alle epidemie, che però ha funzioni essenzialmente informative e di raccordo e non ha capacità operative. Il Sistema sanitario nazionale, che è nostro vanto, ha sofferto per i divergenti criteri con cui si sono mosse le regioni. A queste debolezze occorrerà porre rimedio.
Il Covid-19 può colpire tutti, ma le faglie sociali rischiano di allargarsi. Sbarrare le frontiere non è una risposta anacronistica oltre che eticamente immorale?
Il grande storico francese Le Roy Ladurie, mezzo secolo fa, parlò della unification microbienne du monde come di una prima forma di globalizzazione, avvenuta nel tardo Medioevo, e dovuta a microbi e virus. C’è la tentazione di attribuire il sorgere e il diffondersi del coronavirus alla insostenibilità dello sviluppo e della globalizzazione, e di utilizzare la pandemia come prova dei danni che questi arrecano alla nostra specie. Come al solito si dimentica l’altra metà della storia: la pandemia attuale avrà fatto, a conti fatti, un numero di vittime pari a una frazione (un ventesimo?) di quelle fatte dalla Spagnola di cent’anni fa (che ebbe caratteristiche simili). E questo si deve al grande progresso della medicina, della farmacologia, dei sistemi sanitari, delle conoscenze che si sono accumulate grazie anche alla globalizzazione. E se si troveranno farmaci efficienti e vaccini per il coronavirus, questo avverrà grazie alla collaborazione internazionale e, udite! udite!, anche alla globalizzazione! Quanto alle faglie sociali che rischiano di allargarsi, questo avviene sempre, quando l’umanità è traumatizzata da eventi come guerre, inondazioni, terremoti, carestie, epidemie: sono le fasce sociali più deboli che pagano il prezzo più alto. Oggi però esistono le risorse, se la politica vuole, per attenuarne gli effetti negativi.
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