I concerti sono esperienze meravigliose. La soddisfazione di trovare i biglietti, la trepidazione dell’attesa, l’eccitazione crescente con la folla che, piano piano, si accalca, il batticuore nei secondi prima dell’inizio e poi l’esplosione, quando parte la musica e lo stadio esplode. Da adolescenti i concerti sono anche riti di passaggio: ci si sente diventati un po’ più adulti perché, insieme ai propri amici, finalmente, si fa parte di un’esperienza collettiva di musica, corpi che ballano, voci che cantano all’unisono.
Sono emozioni che credo tutti abbiamo provato. Eppure, per alcuni di noi, i concerti sono spesso altro. Per le persone con disabilità, infatti, possono diventare esperienze di esclusione e solitudine. Perché i posti accessibili sono un numero molto limitato ed è difficile riuscire a rientrare nella ristretta cerchia di chi viene “ammesso”. Perché quei posti sono spesso in posizioni che offrono scarsa o del tutto assente visibilità. Perché alle aree riservate si può accedere solo con un accompagnatore, sicché si viene separati dal proprio gruppo di amici.

Per tutte queste ragioni, a me ai concerti è accaduto di provare rabbia, frustrazione e tristezza. Nel tripudio di allegria che mi circondava mi sono sentita marchiata come diversa; reclusa in una riserva indiana destinata a noi persone con disabilità, spettatori di serie B; imbarazzata perché un amico o un’amica del gruppo doveva “sacrificarsi” per restare con me; sola, terribilmente sola perché a quell’amico o amica non era nemmeno consentito di sedermisi accanto, doveva mettersi dietro, così da permettere a un numero maggiore di persone di sedia a rotelle stare nella prima fila della riserva indiana, l’unica da cui la visibilità era vagamente decente.

Sono passati tanti anni, sono invecchiata, ho le spalle più larghe e so reagire, perché crescendo la pelle diventa resistente. Ricordo, però, la sofferenza di quei momenti, quando ero una ragazzina e, come tutti gli adolescenti di questo mondo, desideravo disperatamente di sentirmi uguale agli altri.
Una volta, al concerto di Bruce Springsteen, ho visto arrivare una ragazzina in carrozzina. Avrà avuto quindici anni. Aveva la maglietta e la bandana del Boss e un sorriso di felicità pura mentre si avvicinava con i genitori e un gruppetto di altri ragazzini suoi amici. Le hanno detto che lei doveva stare sul palchetto-riserva indiana con uno dei genitori, lontana dal gruppo. Quando è salita sulla pedana, non ha detto nulla e ha simulato indifferenza, ma io visto la morte nei suoi occhi. Quel dolore lo avevo conosciuto bene anche io e sapevo che andava ben oltre la sofferenza per quello specifico momento. Era qualcosa di più profondo, era la proiezione di quello che, da lì in poi, sarebbero stati i concerti per lei.

In questi giorni, ci ha ricordato l’ingiustizia di tutto questo Silvia Stoyanova, una ragazza milanese esclusa dal concerto di Taylor Swift previsto per il 13 luglio 2024 a San Siro, malgrado l’acquisto di un biglietto da oltre 300 euro per la zona prato che è del tutto accessibile, perché destinata – in quanto persona con disabilità su una sedia a rotelle – all’area a parte dichiarata “esaurita”. Insomma, lei non ha il diritto di partecipare al concerto della sua star preferita, nemmeno strapagando un biglietto.
Silvia ha lanciato una petizione online per chiedere agli organizzatori di aumentare i posti disponibili per le persone con disabilità e ha già raccolto quasi trentacinquemila adesioni. Mi auguro che l’appello di Silvia sarà ascoltato, ma penso che si debba andare oltre. So che ci sono criticità legate ai protocolli di sicurezza.

Insieme, però, con una collaborazione tra istituzioni, artisti e organizzatori di eventi live possiamo trovare una soluzione, partendo dalle buone pratiche presenti in altri paesi. Lo stadio di Wembley, per esempio, dispone di oltre 300 posti fissi, presenti a tutti i livelli della struttura, accessibili a chi si muove su sedia a rotelle, oltre ad altri adeguati per chi cammina, ma ha difficoltà di deambulazione. Non solo, i biglietti sono prenotabili in modo trasparente, con un numero dedicato che risponde a tutte le necessità e che fornisce supporto anche a chi ha disabilità sensoriali.
In Italia si parla di nuovi stadi, a partire da Milano, e nel 2026 ospiteremo le Olimpiadi invernali, con tutto ciò che questo comporta in termini di ristrutturazioni e costruzioni di strutture sportive. Una grande opportunità per sperimentare soluzioni che consentano a ciascuno di vivere le esperienze dei live pienamente e senza discriminazioni. Non è solo giusto e doveroso, ma sarebbe anche bellissimo. Perché la musica è gioia e vita solo se appartiene davvero a tutti.

Lisa Noja

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