Quella vicenda giudiziaria l’aveva segnato profondamente. Troppo forte lo choc provocato dall’iscrizione nel registro degli indagati con l’ipotesi di concussione aggravate e continuata. Troppo devastante quel divieto di dimora in Campania che lo costrinse a dimettersi dalla presidenza dell’autorità portuale di Napoli. Francesco Nerli si è arreso alla recidiva del tumore allo stomaco diagnosticatogli dopo la notizia del suo coinvolgimento dell’inchiesta della Procura di Napoli su presunte irregolarità nel finanziamento delle iniziative elettorale del Pds: una bufera giudiziaria cominciata nel 2008 e conclusasi otto anni più tardi con un’assoluzione piena, con buona pace dell’allora pm Francesco Curcio che oggi guida la Procura di Potenza.
Ma andiamo con ordine. È il 2008 quando Nerli finisce sotto inchiesta insieme con altre sette persone. Secondo l’accusa, l’allora presidente dell’autorità portuale avrebbe chiesto denaro a una decina di ditte con l’obiettivo di finanziare la campagna elettorale del Pds in Campania in occasione delle regionali del 2005, delle comunali di Napoli e delle politiche del 2006 nonché delle amministrative del 2007. Scatta il divieto di dimora per Nerli che, davanti ai pm di Napoli, spiega di essere stato «perfettamente al corrente della raccolta fondi» da lui «autorizzata nei limiti della legalità e trasparenza e rispettando le norme di legge, pur non avendo effettuato personalmente alcuna richiesta». Versione confermata da oltre dieci operatori portuali, coinvolti come persone offese, che ai magistrati dichiarano di aver elargito contributi elettorali spontaneamente e mai su richiesta diretta di Nerli o di altre persone. Niente da fare: si va a processo e ci vorranno otto anni prima che il Tribunale di Napoli assolva il manager perché il fatto non sussiste, sconfessando la linea della Procura che aveva invocato addirittura tre anni e mezzo di carcere.
Completamente scagionato, padre della legge che consentì l’accesso dei privati sulle banchine e istituì le autorità portuali e perciò considerato un punto di riferimento nel mondo dello shipping, Nerli viene successivamente nominato alla guida di Assoporti. Ma si tratta di un “risarcimento” solo parziale, anche perché il manager ed ex parlamentare si ammala presto di quel tumore che alla fine lo porterà alla morte. Per quella vicenda giudiziaria nessuno gli ha chiesto scusa. Il pm che lo mise sotto inchiesta, come spesso accade in Italia, ha fatto carriera: Curcio è passato dalla Direzione distrettuale alla Direzione nazionale antimafia prima di essere nominato alla guida della Procura di Potenza.
È andata bene anche a Francesco Greco, capo del pool Mani Pulite di cui Curcio faceva parte all’epoca dell’inchiesta su Nerli: oggi è a capo della Procura di Napoli Nord. A ricordare Nerli è l’amico Aldo Cennamo, ex parlamentare comunista: «Con Francesco il porto visse un periodo di splendido rilancio affermandosi come uno dei principali fattori di sviluppo di Napoli e della sua area metropolitana». Non solo: Nerli collaborò in maniera determinante alle inchieste che alzarono il velo sul traffico di merci contraffatte dalla Cina, installando degli scanner che analizzavano il contenuto dei container caricati sulle navi, e sulle ingerenze della camorra nella gestione degli ormeggi a Mergellina, dove contribuì a mettere ordine suggerendo la realizzazione di un campo-boe di ultima generazione. Con lui, dunque, muore anche la prospettiva di una Napoli più moderna e trasparente.