Pestaggi in carcere, spunta anche un omicidio: 120 agenti rischiano il processo

Sono state chiuse le indagini preliminari sulle violenze commesse da agenti della polizia penitenziaria ai danni di diversi detenuti il 6 aprile del 2020, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Lo ha reso noto ieri la stessa Procura sammaritana con un ‘avviso importante’ sul proprio sito, dove ha pubblicato le 152 pagine di avviso di conclusione indagini a carico di 120 persone, tra poliziotti della Penitenziaria e funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria accusati a vario titolo di accuse gravissime: reati di tortura, lesioni, abuso d’autorità, falso in atto pubblico.

La Procura contesta anche l’omicidio colposo a dodici indagati in relazione alla morte del detenuto algerino Hakimi Lamine, deceduto il 4 maggio 2020 dopo essere stato tenuto in isolamento dal giorno delle violenze. Tra gli indagati che rispondono di cooperazione in omicidio colposo figurano l’allora comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli, l’ex provveditore regionale del Dap Antonio Fullone (tuttora sospeso), e quegli agenti che erano nel reparto di isolamento. Nella conferenza stampa del 28 giugno scorso, giorno in cui furono eseguite 52 misure cautelari per gli episodi dell’aprile 2020, gli inquirenti spiegarono, in relazione alla morte di Lamine, di aver contestato il delitto di «morte come conseguenza di altro reato» ad alcuni indagati, ma che il Gip Sergio Enea aveva bocciato tale impostazione ritenendo, in base agli elementi raccolti fino a quel momento, che la morte dell’algerino andasse classificata come suicidio; questa statuizione del Gip è stata però impugnata dalla Procura, che ha quindi aggiunto un’ulteriore grave contestazione al compendio accusatorio già molto rilevante.

Per la Procura Hakimi sarebbe stato percosso violentemente dopo essere stato prelevato dalla cella e portato in quella di isolamento, quindi qui avrebbe assunto «in rapida successione e senza controllo sanitario un mix di farmaci, tra cui oppiacei, neurolettici e benzodiazepine» che ne avrebbero provocato dopo circa un mese la morte per un arresto cardiocircolatorio conseguente a un edema polmonare acuto. Per l’avvocato Leonardo Pompili che assiste un testimone delle violenze ma imputato in altro processo per ipotesi di resistenza ad agenti della penitenziaria nelle rivolte di giugno 2020, «il mio assistito ha sempre sostenuto che sussista una connessione fra le violenze subite e la morte di Hakimi Lamine, con il quale era legato da un’amicizia nota anche agli altri detenuti. Ipotesi che pare ora confermata dal comunicato della Procura. Il 2 novembre inizierà il processo contro i tre detenuti che hanno assistito alle violenze ma che paradossalmente sono accusati a loro volta. Fra i testimoni della Procura risultano alcuni nomi degli agenti destinatari del provvedimento di chiusura indagine di oggi (ieri, ndr)».

Degli indagati, due sono attualmente nel carcere militare campano, sedici ai domiciliari. Adesso i 120 potranno accedere al fascicolo ed eventualmente preparare delle memorie. Seguirà poi la richiesta di rinvio a giudizio.
Nello stesso giorno la Ministra della Giustizia Marta Cartabia, partecipando in collegamento alla Mostra del cinema di Venezia alla presentazione del docufilm La Nave sul carcere di San Vittore, ha annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro sulle carceri: «In giornata firmerò per la costituzione di un gruppo di lavoro che non sarà messo all’opera per ripensare le grandi teorie sul carcere ma per affrontare concretamente singoli specifici problemi, anche a legislazione invariata. Si comincia a capire l’importanza che il carcere ha nella società, ci sono sensibilità diverse, anche pregiudizi dovuti alla non conoscenza. Bisogna andare a vedere. C’è molto lavoro da fare – ha ammesso la Ministra – non credo che potremo fare miracoli è una realtà bisognosa nelle sue condizioni più varie, anche materiali. C’è un bisogno immane, non aspettatevi miracoli ma un cammino, in cui io avverto la disponibilità di tanti».

E poi una considerazione, più volte espressa dalla Guardasigilli, sulla pena come pene: «La pena se deve esistere deve esistere al plurale, con la reale possibilità di una pluralità di sanzioni. A questo stiamo lavorando perché, dove è possibile, si possa evitare anche solo l’assaggio del carcere, nella riforma c’è questa strada delle sanzioni sostitutive per evitare questo passaggio». In realtà molte realtà sensibili al tema del carcere hanno chiesto un decreto di urgenza al Governo perché l’insofferenza nell’intera comunità penitenziaria  sta aumentando, soprattutto dopo una estate difficile che ha reso la vivibilità in cella estremamente complicata e poco dignitosa. Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria, ha commentato così l’iniziativa della Ministra: «attendiamo di saperne di più e soprattutto di capire come e di cosa tale gruppo di lavoro dovrà concretamente occuparsi e, soprattutto, in quali tempi. Le carceri, infatti, sono un malato allo stato terminale e non c’è più molto tempo per gli studi e le teorizzazioni, ma servono interventi tangibili e immediati».