La new age delle due ruote
Peter Sagan ha cambiato il ciclismo, le sue imprese hanno ispirato tanti giovani
È giusto tributare tutti gli onori a Peter Sagan, da pochi giorni fresco ritirato dal ciclismo su strada a 33 anni, dopo una carriera che lo ha visto prima campione in mountain bike e nel ciclocross e poi vincere sulla bici da corsa tante importanti gare di un giorno e tante tappe e classifiche a punti nei grandi giri. È giusto ricordarlo non solo per celebrare il Sagan ciclista ma anche il Sagan “personaggio”. Colui che ha cambiato con la sua allegria, la sua leggerezza e i suoi atteggiamenti guasconi il mondo e l’immagine delle due ruote, facendo sembrare il ciclismo su strada non più solo uno sport di fatica e sofferenza ma anche di esuberante divertimento. Per usare la battuta che mi ha fatto qualche giorno fa un vero esperto di due ruote, uno che prima ha gareggiato da giovane e poi ha vissuto decenni nel settore, con l’arrivo di Sagan nel ciclismo è come se nella musica si fosse passati di colpo da Nilla Pizzi a Mick Jagger. Come ha ben detto l’amico e compagno di squadra Daniel Oss in una bella intervista a bici.FOCUS di pochi giorni fa: La sua filosofia positiva è certamente servita. Prima si parlava solo di ciclismo eroico, con stereotipi vecchi che non erano più legati così strettamente all’attualità (…). Sagan ha capito che si poteva essere al top dando un’immagine diversa (…) a mostrare l’immagine di gente che non solo fatica, ma si diverte anche (…). Questo non significa non essere professionisti. C’era il momento per scherzare e il momento per applicarsi con tutto sé stesso, su questo Peter è sempre stato molto intransigente, ma cercavamo di affrontare tutto con il sorriso, non per niente il suo motto è sempre stato “why so serious?”.
Non è esagerato dire che senza il “personaggio” Sagan – che con le sue gesta e la sua spavalderia ha ispirato tanti giovani – forse non sarebbe nato quello stuolo di campioni dell’Est Europa, e anche di ex mountain biker e ciclocrossisti passati con grande successo alla specialissima, che ha infiammato il ciclismo su strada negli ultimi anni. Una nuova generazione di corridori. Un esempio è Tadej Pogačar, fresco vincitore del suo terzo Giro di Lombardia consecutivo, un campione completo, alla Eddie Merckx, che è già andato molto oltre Sagan stesso. Senza lo slovacco Sagan, forse ora il ciclismo non parlerebbe così tanto sloveno. Ma in qualche modo “eredi” di Sagan, per origini nella mtb o nel ciclocross e poi nelle perentorie vittorie su strada, sono anche i Mathieu Van der Poel e i Wout Van Aert di oggi. O un Remco Evenepoel, per come affronta alla garibaldina ogni corsa. Certo, si tratta di ciclisti diversi da Sagan nelle caratteristiche atletiche e nell’impostazione tecnica. Ma non così tanto diversi nell’approccio alla gara. Non c’era forse un po’ di vero spirito “alla Sagan”, di quel Sagan che ha fatto sua nel 2018 la Roubaix con indosso la maglia iridata, nello straordinario Van der Poel che quest’anno ha vinto il mondiale di Glasgow andandosene via allo sbaraglio con una lunga fuga, tutto solo, davanti a gente del calibro di Pogačar e Van Aert?
Poi, naturalmente, non c’è solo il Sagan “personaggio” iconico. C’è anche il grande campione, un finisseur potente, uomo da gare di un giorno, tatticamente intelligente e forte in volata: un talento esplosivo. Nato in Slovacchia a Žilina il 26 gennaio 1990, dopo aver vinto da junior l’argento ai mondiali di ciclocross di Treviso (2008) e l’oro nei mondiali di mountain bike cross country di Val di Sole (sempre nel 2008), oltre a un oro agli Europei di ciclocross di Hittnau (2007) e un oro agli Europei di mountain bike di St. Wendel (2008), Sagan è passato al ciclismo su strada. Il suo palmares con la specialissima è da capogiro, principalmente con le maglie della Tinkoff e della Bora-Hansgrohe. Per limitarci qui alle vittorie più importanti, l’elenco dei successi di Sagan comprende, oltre alla citata Parigi-Roubaix del 2018, un Giro delle Fiandre (2016), tre Gand-Wevelgem (2013, 2016 e 2018), un campionato europeo a Plumelec (2016) e tre mondiali di ciclismo su strada consecutivi (Richmond nel 2015, Doha nel 2016 e Bergen nel 2017): un primato, quest’ultimo, che rimane unico nella storia del ciclismo.
Le sue imprese ai mondiali su strada sono oltremodo significative, a cominciare dalla prima vittoria. In quella occasione Sagan corse e vinse praticamente da solo, considerando che la nazionale slovacca del 2015 era composta, oltre che da lui, unicamente da due altri compagni. Sagan divenne anche l’implacabile vincitore della maglia verde al Tour de France, trofeo che si aggiudicò per ben sette volte (dal 2012 al 2019 con la sola eccezione del 2017), grazie a dodici vittorie di tappa e ottimi e ripetuti piazzamenti in tutte le edizioni della corsa francese a cui egli ha partecipato. Con ciò meritandosi l’appellativo di Tourminator. Uno dei tanti nomignoli, assieme a quelli di Hulk Sagan e di Peter il Grande, che gli sono stati affibbiati.
In definitiva, un grande campione, il cui elenco di vittorie è davvero infinito, tra cui anche due tappe al Giro d’Italia, una maglia ciclamino (al Giro 2021), quattro tappe alla Vuelta di Spagna, una classifica finale all’UCI World Tour (2016). Unico neo di una lunga e straordinaria carriera: Sagan non è mai riuscito a vincere la Milano-Sanremo, una gara che pure era nelle sue corde. Ci è arrivato solo vicino un paio di volte (con due secondi posti nel 2013 e nel 2017), a cui si aggiunge una sfilza infinita di piazzamenti nei primi dieci. Ci mancheranno le sue vittorie, le sue battute, i suoi sorrisi e le sue esagerate impennate in bicicletta in salita. Onore a Sagan! Viva Sagan!
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