I due contro-riformatori
Petralia e Tartaglia vanno cacciati, non rispettano l’articolo 27 della Costituzione
Dino Petralia e Roberto Tartaglia non possono proprio restare ai loro posti di capo e vice del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap). Sono incompatibili. Il fatto è sotto gli occhi di tutti e non può esser sfuggito alla lungimiranza della ministra Marta Cartabia. Ma soprattutto alla memoria della Presidente emerita della Corte Costituzionale. Potremmo fare un discorso generale sulla stranezza del fatto che due magistrati che si definiscono “antimafia” siano chiamati ad applicare l’articolo 27 della Costituzione.
Per avere a cuore il reinserimento dei detenuti non bisogna essere “anti” ma “per”, e non si deve ritenere che solo i “pentiti” abbiano il diritto ad avere diritti. Cosa del resto ribadita poche settimane fa nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, alla cui cultura i due magistrati sono decisamente affini, e che auspica un rafforzamento dell’articolo 41bis. La mentalità è quella. E basterebbe ricordare l’articolo entusiastico di Repubblica (quella che spacciava bufale su centinaia di boss scarcerati) all’indomani delle due nomine, dopo la cacciata di Franco Basentini. È «un segnale contro chi addebita al governo la responsabilità di aver messo ai domiciliari dei boss», scriveva Liana Milella. Più chiaro di così.
Il precedente capo del Dap era stato costretto alle dimissioni per una circolare in cui invitava i direttori delle carceri a segnalare, in piena epidemia Covid, le condizioni dei detenuti anziani e malati. Petralia e Tartaglia vengono scelti subito dopo dall’ex ministro Bonafede come “segnale” affinché governino le carceri con pugno di ferro e soprattutto le rendano impermeabili a qualsiasi speranza di futuro per i detenuti. Il contrario di quanto dice la Costituzione, quel librettino che, ci piace immaginare, Marta Cartabia tiene anche sul comodino. La neo-ministra li ha già incontrati, non prima però di aver parlato con il Garante dei detenuti Mauro Palma. Quindi sa già con chi ha a che fare. Sono due contro-riformatori, prima di tutto.
Ne sa qualcosa Roberto Giachetti, il deputato di Italia Viva che segue più di ogni altro parlamentare la politica sul carcere e che ha atteso invano le risposte dell’ex ministro Bonafede alle proprie interrogazioni. «Spero proprio – dice adesso – che nella discontinuità con il passato ci sia anche maggiore rapidità nella risposta alle interrogazioni, in particolare a quelle che riguardano i diritti di coloro che sono detenuti in regimi carcerari durissimi come il 41bis. Come quella al detenuto di Viterbo cui è stato vietato di acquistare i libri di Cartabia e Manconi».
Sull’articolo 41bis i capi del Dap Petralia e Tartaglia hanno già avuto occasione di mostrare il pugno di ferro su una vicenda importante, una di quelle rispetto alle quali il deputato Giachetti (e soprattutto i detenuti) è ancora in attesa di risposta dal mese di ottobre 2020. Il 29 settembre precedente il direttore generale del Dap, Turrini Vita, aveva emanato una circolare in cui ordinava alle direzioni degli istituti penitenziari di rispettare ordinanze dei giudici in applicazione delle sentenze della Corte costituzionale e della cassazione in tema di 41bis. Si trattava di quattro ordinanze. La prima aveva a che fare con il divieto di cottura dei cibi, superato da una sentenza della Corte Costituzionale nel 2018. La seconda il divieto di scambi di oggetti tra detenuti nel medesimo gruppo di socialità. Anche questo superato da una sentenza dell’Alta Corte del maggio 2020. Le altre due consistono nell’azzeramento del divieto di saluto tra detenuti al 41bis di diversi gruppi di socialità e della possibilità di avere due ore (invece di una) di aria al giorno, seguendo il dettato di sentenze di Cassazione.
Tutte questioni ragionevoli, piccoli diritti di vita quotidiana cui si erano attenute le ordinanze dei giudici e in seguito la circolare del direttore generale, come riferito in quei giorni dal quotidiano Il Dubbio. Ma la circolare due giorni dopo fu revocata con decisione dei capi Petralia e Tartaglia. Il che ha un significato molto chiaro. Prima di tutto che le decisioni della Corte Costituzionale e della Cassazione in tema di diritti (anche dei Caino al 41 bis, certo) sono ininfluenti per i due capi del Dap. Cioè, per parlare con chiarezza, ai magistrati “antimafia” Petralia e Tartaglia dell’attività della presidente Cartabia e dei suo colleghi dell’Alta Corte importa poco. In secondo luogo, si stabilisce che anche delle ordinanze dei giudici di sorveglianza è possibile farsi un baffo. In conclusione: possono questi due contro-riformatori, ostili all’articolo 27 della Costituzione, dirigere le carceri italiane? Certo che no, sono incompatibili.
© Riproduzione riservata