Un altro mattoncino del Lego del procuratore Nicola Gratteri cade giù. Il giudice Marco Petrini, benché condannato per corruzione dal gup di Salerno quattro giorni fa, non ha favorito la ‘ndrangheta. È caduta nei suoi confronti l’aggravante mafiosa contestata dalle prime indagini della Dda di Catanzaro del procuratore Gratteri, prima che l’inchiesta fosse trasferita a Salerno, nel distretto competente a giudicare le cause riguardanti i magistrati calabresi.

Il fatto è particolarmente rilevante perché proprio di recente, mentre sta volgendo al termine la lunghissima udienza preliminare davanti al gup Claudio Paris del processone “Rinascita Scott” (452 imputati), proprio gli interrogatori del giudice Petrini sono stati riversati dalla Dda nella maxi-inchiesta. E c’è da chiedersi quali parti degli interrogatori-fiume dell’ex presidente della seconda sezione della corte d’assise d’appello siano state ritenute rilevanti per giudicare un processo di mafia.

La vicenda del presidente Petrini ha tutta l’aria di essere una normale banale storia di corruzione di un magistrato. Lui stesso lo ha ammesso fin da quando fu arrestato il 15 gennaio 2020 e poi sospeso dal Csm due settimane dopo. C’è stato anche una sorta di balletto tra arresto, confessione, scarcerazione, parziale ritrattazione (solo nei confronti dei suoi colleghi) con ritorno in carcere e annullamento del secondo arresto da parte della cassazione. È poi rimasto ai domiciliari fino al 23 novembre scorso, quando è stato condannato dal gup di Salerno per corruzione in atti giudiziari a quattro anni e quattro mesi di detenzione più l’interdizione dai pubblici uffici per tre anni e sei mesi.

La sentenza ha anche spazzato via la parte più boccaccesca delle vicenda, quella che aveva fatto godere una massa di giornalisti guardoni che si erano esercitati nel parlare del “vizietto”, della “bella avvocatessa” e delle relazioni extraconiugali che sarebbero valse come le “altre utilità” con cui il giudice si sarebbe fatto corrompere dall’avvocato Marzia Tassone. “Il fatto non sussiste”. Cosa del resto già appurata e sancita dal tribunale del riesame e dalla corte di cassazione in seguito ai ricorsi della stessa avvocata. Che nel frattempo aveva subito un mese di arresti domiciliari e la gogna che spesso subiscono le donne giovani belle e brave nella loro professione.

Corrotto ma non mafioso, dunque. Come la gran parte dei “colletti bianchi” che il procuratore si ostina a tenere incollati alle sue inchieste per poter dimostrare che la ‘ndrangheta di oggi non è più quella che spara e mette il tritolo, ma che lavora in banca e nelle grandi finanziarie. Peccato però che la Dda non trovi mai le persone giuste, finendo così con l’annacquare inchieste per reati contro la pubblica amministrazione che potrebbero avere sorti diverse.
Del giudice Petrini il procuratore Gratteri aveva parlato l’8 settembre scorso al Tg1 e al Tg3 mentre si apriva nell’aula bunker di Rebibbia, con grande spolvero di attenzione mediatica, la prima udienza del suo processone davanti al gup. E aveva ribadito che l’arresto dell’ex presidente di corte d’assise dimostrava che il processo “Rinascita Scott” era quello con «la più alta percentuale di colletti bianchi e uomini dello Stato infedeli» al servizio della ‘ndrangheta. Come la mettiamo adesso, visto che il dottor Petrini non è più mafioso? E che ce lo dice un giudice?

Questa vicenda, un paio di anni fa, era anche finita al Csm ed era stata tra i primi segnali di conflitto tra il dottor Gratteri e il procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini. Il quale aveva bacchettato il procuratore perché aveva trattenuto presso di sé il “caso Petrini” così come altre situazioni che riguardavano magistrati del distretto e che avrebbero dovuto, a norma di legge, rigorosamente esser trasferite all’autorità giudiziaria di Salerno fin dalle prime avvisaglie. Feroce era stato lo scontro al Csm in quell’infuocato luglio del 2018. Sappiamo come è poi andata a finire. Ma non è detto che prima o poi la storia non compia le sue giravolte. Visto per esempio che il giudice Petrini non è più mafioso. E che il Lego con cui il procuratore Gratteri vuol ricostruire la Calabria sta perdendo i suoi mattoncini uno a uno.

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.