“Si può fare!”. Lo esclama Gene Wilder in Frankenstein junior, ma dovrebbe dirlo anche un qualunque ottimista per confutare chi osserva che il rapporto Draghi è irrealizzabile. Certo che lo è! E, immaginando quanto Draghi conosce i palazzi di Bruxelles, Francoforte, ma pure Roma e delle altre capitali europee, ci permettiamo di intuire che anche lui ne sia consapevole. Il suo rapporto è irrealizzabile agli occhi di studiosi e analisti che, per natura, confondono realismo con pessimismo. Com’è altrettanto inattuabile per una classe politica troppo impegnata a vivere alla giornata sui social, oppure schiava di ideologie e preconcetti.

Un piano industriale su cui mettersi al lavoro

Ma per chi ha una prospettiva e scommette sul futuro nonostante tutto, quello di Supermario è un piano industriale su cui mettersi al lavoro fin da oggi. E allora chi se non gli imprenditori dovrebbero afferrare quel documento di settanta pagine e passare dal “si può fare” al “si deve fare”? Forse è questo che non si è ancora inteso del piano Draghi. Il vero destinatario è l’industria. Lo si legge per come vengono trattate le materie prime critiche, i costi dell’energia, la sicurezza alimentare, la decarbonizzazione, la difesa. Tutti temi su cui il rapporto va a fondo. Draghi spiega l’urgenza di rafforzare le catene di approvvigionamento, investendo in attività di estrazione in casa, quanto di farsi amici Paesi fornitori alternativi a quelli con cui ora siano di fatto in concorrenza (leggi conflitto). Giudica validi ma dall’esito incerto i provvedimenti per la transizione ecologica.

Il La alle imprese

Per primo il (Carbon border adjustment mechanism, Cbam): “strumento importante affinché le aziende europee rimangano competitive rispetto ai loro concorrenti internazionali che affrontano prezzi del carbonio più bassi o inesistenti”. Il nostro ex premier tratta singoli settori produttivi come se fosse un qualsiasi Cfo che ha calcolato soldi e competenze da destinare a un progetto della sua azienda. Dà voce alle forze produttive che da anni bussano alle porte dell’Ue, con report tecnici alla mano, per dire che quanto è stato deciso, in tempi e modalità, non funziona. E se dalla politica, le imprese hanno ricevuto un indecoroso silenzio o millantanti promesse, Draghi ha invece risposto: “Io vi ho letto. Sono d’accordo con voi, almeno in parte. Rimettiamo a posto le cose”. Ha dato quindi alle imprese il La per tornare alla carica.

La politica industriale dal basso

Cari nuova commissione, nuovo parlamento, adesso le cose si fanno come sta scritto qui. È una politica industriale dal basso, propositiva e per nulla dirigista. E merita altrettanto un’obiezione chi lamenta l’assenza degli incentivi agli investimenti. Quali incentivi? Le imprese stanno già investendo in tutto questo. Green, energie alternative, formazione, digitalizzazione sono voci di bilancio a cui vanno fior fior di risorse da anni. Sorprende quindi che proprio queste forze produttive, ostinatamente ottimiste – anni fa si parlava del Partito del Pil, ricordate? – non abbiano ancora afferrato il microfono per dire: “Grazie Mario, facciamo noi!”