Auto elettriche, i costi raddoppiati rispetto alla Cina
Piano Marshall di Draghi, banche nane, più pensioni meno investimenti: “Se va tutto bene, siamo perduti”
Il thread-analisi su X di Carlo Alberto Carnevale Maffè sul rapporto dell’ex presidente della Bce per il salvataggio dell’Europa
Ho appena finito una prima lettura del rapporto Draghi sui ritardi dell’economia e delle istituzioni europee nei confronti di USA e Cina. 328 sconsolanti pagine di sofferenza, rammarico e frustrazione: non perché siano dati prima sconosciuti, anzi proprio poiché non lo sono. Viene voglia di saltare sul primo aereo verso Ovest, con viaggio di sola andata. Ma invece bisogna guardare dritto nell’abisso, per capire meglio come l’Europa abbia potuto ridursi così. Spero che vi venga voglia di studiarlo (tutto, non solo il summary) e di confrontarvi pubblicamente in merito, perché il rapporto inchioda politica e società europee alle proprie colossali responsabilità e le pone davanti a ineludibili e inderogabili scelte per il futuro.
Un’Europa che ha paura di rischiare
Mario Draghi descrive, numeri alla mano, un’Europa che ha paura di rischiare, che guarda all’ombelico dei propri interessi nazionali, frammentati e inadeguati alle sfide globali. Un’Europa che dedica alle pensioni una spesa superiore per ordini di grandezza a quella per gli investimenti in venture capital e startup. Chi può, a ragion veduta, fugge. Chi non può o non vuole fuggire, rifletta sulle proprie responsabilità verso questa generazione e verso le prossime.
Banche nane, lente e inefficienti
Banche nane, lente e inefficienti: questo è il risultato della frammentazione e della cultura retrograda del mercato finanziario europeo continentale. I capitali privati non vengono allocati in modo efficiente, e i governi (specie quelli populisti) hanno buon gioco a spiazzare gli investimenti produttivi sussidiando fiscalmente la sottoscrizione di debito pubblico, che a sua volta finisce in pancia alle banche nazionale. Un perfetto circolo vizioso suicida, che in Italia viene celebrato come una vittoria politica.
Gap con Usa
L’Europa non investe poco in R&D (research and development), ma investe male, perché politica e imprese hanno timore dell’innovazione e si muovono in ordine sparso. Il gap di investimenti rispetto agli USA è enorme nelle modalità: il budget federale di R&D in USA è 13x quello federale europeo, dove dominano i sussidi nazionali, frammentati e non coordinati. Mentre fino al 2010 l’Europa investiva più degli USA, nell’ultimo decennio abbiamo accumulato un gap di investimenti produttivi (al netto di quelli immobiliari residenziali) che si manifesta soprattutto nei settori già avanzati (digitale, difesa e sicurezza, energia, pharma, aerospazio).
Servirebbero 450 mld/anno per la transizione energetica, 150 mld/anno sulle tecnologie digitali, 50 mld/anno su difesa e sicurezza, 100-150 mld/anno per produttività e innovazione. Il tutto per almeno 5 anni, e da un bilancio federale, non frammentato per 27 paesi. Sulla “space economy”, settore cruciale per il futuro della difesa e della sicurezza, l’Europa investe un sesto degli USA e già meno della Cina, e le previsioni sono di un’ulteriore perdita di ruolo nei prossimi anni.
Se va tutto bene, siamo perduti.
Ho appena finito una prima lettura del rapporto Draghi sui ritardi dell’economia e delle istituzioni europee nei confronti di USA e Cina. 328 sconsolanti pagine di sofferenza, rammarico e frustrazione: non perchè siano dati prima sconosciuti,… pic.twitter.com/aQRcDcGgEA
— C.A. Carnevale-Maffè (@carloalberto) September 9, 2024
Il treno perso su AI e app digitali avanzate
Nel “cloud computing”, ambito essenziale per supportare l’evoluzione dell’AI e delle applicazioni digitali avanzate, l’Europa ha completamente perso il treno degli ultimi 10 anni, risultando del tutto marginale sul mercato globale. L’Italia è del tutto “non pervenuta”, a causa della sorda opposizione luddista della politica e della imperdonabile miopia degli investitori privati. Quando (e se) avremo il Polo strategico nazionale, il rischio è che risulti già obsoleto e comunque sottodimensionato rispetto ai nuovi fabbisogni di calcolo e sicurezza.
Auto elettriche, i costi raddoppiati rispetto alla Cina
Il Governo italiano (ma non solo) pretende di attirare in patria la produzione di auto elettriche, ma non fa i conti con la struttura di costi industriali; il gap di efficienza con la Cina è colossale: la produzione di batterie in Europa costa più del doppio di quella in Cina. Con questi dati, una fabbrica cinese in Italia è solo un cavallo di Troia per aggirare i dazi.
L’Europa ha visto più che dimezzare la propria quota globale di autoveicoli prodotti, passando dal 31% del 2000 al 15% del 2022 (e nel 2024 sarà ancora inferiore). Nello stesso periodo, la quota cinese è aumentata di 8 volte, dal 4% al 32%. 20 anni dopo, però, i politici si strappano le vesti perché Volkswagen deve chiudere un paio di fabbriche. Surreale.
Difesa, spendiamo poco e male
Difesa: in 20 anni, la Cina ha quasi quintuplicato le spese militari, mentre l’Europa rimane a un terzo della spesa USA. Tre quarti degli acquisti europei di tecnologie militari, peraltro, vengono da importazioni, prevalentemente dagli USA. Spendiamo poco e male, rafforzando l’industria militare altrui. Irresponsabile.
Se guardiamo al segmento “space defence”, il quadro è ancora più desolante: l’Europa spende e continuerà a spendere briciole, mentre la Cina moltiplica gli investimenti e gli USA dominano incontrastati il settore. Miope e suicida.
L’avversione miope e strumentale delle istituzioni europee verso moderni strumenti finanziari come le cartolarizzazioni (ne so qualcosa personalmente …) incrementa la rigidità e l’inefficienza dell’allocazione dei capitali in Europa, con l’effetto di ridurre gli investimenti.
L’Europa (e l’Italia ancora di più) conta principalmente sulle banche locali per supportare l’economia, perpetuando l’inefficienza del sistema finanziario nazionale che non viene messo in concorrenza con diverse fonti di capitale.
Fino a 20 anni fa, l’Europa aveva un indice di innovazione inferiore agli USA ma doppio rispetto alla Cina. Oggi il vantaggio rispetto a Pechino si è ridotto a un misero 5%.
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