L'editoriale
Piano post Covid, per zittire i sovranisti l’Ue faccia subito chiarezza su aiuti
L’Italia è in grado di fare “da sola”. L’Italia è in grado di far meglio del Mes. Magari ricorrendo all’emissione di Bond patriottici, garantiti dalla Bce. Sono questi gli slogan attorno ai quali si sono radunati tutti i partiti di ispirazione sovranista, davanti alla decisione che il Governo italiano si trova ad affrontare sull’opportunità o meno di ricorrere alle risorse del meccanismo europeo di Stabilità, secondo le nuove condizioni stabilite dall’accordo raggiunto nell’ultima riunione dell’Eurogruppo. Risorse che, lo ricordiamo, per l’Italia ammonterebbero a circa 37 miliardi di euro (fino al 2% del nostro Pil). Ricorrervi o no? Questo è il dilemma, in verità tutto paradossalmente italo-italiano. Incertezza che si ripropone per tutti i quattro pilastri finanziari di intervento anti-crisi post Coronavirus della Ue (Mes, Bei, Sure, Recovery Initiative), che dovrebbero mettere in campo oltre 2.000 miliardi di euro.
Secondo le ultime indiscrezioni, queste risorse assumerebbero più la forma dei “loans” (prestiti), che “grants” (trasferimenti), prestiti che dovranno poi essere restituiti secondo tempi e modalità non ancora decisi (tranne che per il Mes). E sarebbe ora che le istituzioni europee si decidessero a mettere queste informazioni finalmente per iscritto. Prima di prendere qualsiasi decisione sull’accettarle o meno occorrerebbe, infatti, vedere bene tutti i dettagli contrattuali sul tavolo. Dettagli che, purtroppo, non ci sono ancora per nessuno (o quasi) degli strumenti considerati. Quale sarà l’ammontare complessivo dell’intervento? In quali tempi sarà realizzato? A quali tassi d’interesse saranno forniti i prestiti? E con quali garanzie? Si tratterà di risorse messe in comune oppure le istituzioni comunitarie che le emetteranno saranno costrette a emettere titoli obbligazionari per reperire risorse sui mercati? Se così, a quali condizioni? In caso di prestiti da restituire, questi saranno privilegiati rispetto ai titoli di Stato nazionali? Ecco, queste sono tutte le domande, di natura prettamente finanziaria, alle quali la Commissione Europea non ha ancora fornito risposta.
E questa incertezza, opacità, favorisce la polemica sovranista e antieuropea. Sarebbe ora di darci un taglio.
Ma non è solo dall’Europa che le risposte non sono arrivate. Anche i singoli Stati, a partire dall’Italia, non hanno effettuato a oggi nessuna “disclosure” (politico-programmatica) sul piano di utilizzo di queste (eventuali) risorse. Per cosa saranno spesi i soldi? Per spese correnti o per investimenti? In quali settori? Anche in questo caso, le risposte a queste domande non solo non esistono, ma non si sono ancora avviati seri dibattiti parlamentari sul da farsi. Non a caso il Pnr (Piano Nazionale delle Riforme) è stato stralciato dal Def (Documento di Economia e Finanza). Coda di paglia del governo italiano, o di tutti i governi dell’Unione?
E questa operazione di “total disclosure” non dovrebbe fermarsi solo alla Commissione Europea e agli Stati membri. Anche la Bce farebbe meglio a rendere più trasparenti i criteri con i quali sta conducendo la sua politica monetaria, in particolare relativamente al suo programma di acquisti straordinario di titoli di Stato, il quale deve rispettare delle regole che essa stessa si è data. Questo per un semplice motivo. La strategia del “facciamo da soli” dei sovranisti italiani è, in realtà, una grande balla – foglia di fico –, perché basata sull’idea che l’Italia raccolga le risorse finanziarie di cui ha bisogno soltanto tramite i propri titoli di Stato, ma sfruttando il programma di acquisto di titoli (QE) da 750 miliardi di euro messo in campo della Bce. E proprio in questo sta l’incongruenza della idea sovranista. Perché senza il Quantitative Easing della Bce, l’Italia non avrebbe alcuna possibilità di farcela da sola. Senza gli acquisti della Bce, i rendimenti d’emissione alle aste dei Btp sarebbero molto più alti di quelli attuali, provocando un probabile default del debito. Quindi, l’idea proposta dai sovranisti non è tanto che l’Italia “faccia da sola”, ma che si affidi totalmente e spudoratamente alla Bce.
Non si capisce però sulla base di quale convinzione si possa credere che Francoforte vada avanti per anni a condurre una politica monetaria fatta su misura dei Paesi più in difficoltà, creando un enorme “azzardo morale” a non ridurre il debito da parte di questi Stati e creando attriti tra i vari Paesi, come la decisione della Corte di Karlsruhe e le dichiarazioni del cancelliere austriaco Kurz sulla questione monetaria e del debito italiano dimostrano. Due interventi questi ultimi che la politica italiana farebbe meglio a non sottovalutare, perché fatti quasi contemporaneamente da esponenti di due Paesi, Germania e Austria, che sentono di essere in credito (a ragione o a torto) con gli Stati del Sud Europa in questa crisi e credono, al contempo, che questi Paesi stiano condizionando le politiche monetarie della Bce per evitare colpevolmente una riduzione del proprio debito. Insomma, azzardo morale e lassismo irresponsabile.
Per motivi di opportunità e di trasparenza, quindi, e non per un obbligo di risposta a una Corte costituzionale nazionale, la Bce farebbe meglio a mettere tutte le carte sul tavolo. L’idea di una Bce malamente condizionata da un gruppo di sovranisti dei paesi del Sud è qualcosa di insopportabile che, evidentemente, creerebbe una pesante spaccatura all’interno dell’Europa. Ma anche i cosiddetti “paesi virtuosi” hanno degli obblighi di “disclosure e trasparenza”, in relazione al nuovo “temporary framework” approvato dalla Commissione europea, che rischia, se non si rispettasse il principio del “giocare tutti nello stesso campo”, di lasciare spazio di egemonia alle nazioni finanziariamente più forti, che avendo più surplus a disposizione da iniettare nelle loro imprese in difficoltà, altererebbero le condizioni concorrenziali, guadagnando quote di mercato, attuando politiche predatorie nei confronti delle loro concorrenti dei paesi più deboli.
E ricordiamo che il surplus si è formato non solo per ragioni di virtuosità nordica, ma anche e soprattutto per una sottovalutazione dell’“Euro del Nord”, non compensato da politiche di “reflazione” pur previste dai trattati e dai regolamenti Ue. La ben nota querelle tra asimmetrie sul deficit e sul surplus. Per tutti questi motivi, è necessario considerare gli strumenti finanziari europei nel loro complesso, senza proporre una strada isolazionista o centrata solo sulla Bce, che potrebbe portare il debito italiano a implodere. Da sostenitori delle istituzioni europee e del principio di solidarietà sulla base del quale l’Europa è fondata siamo certamente favorevoli ai quattro pilastri finanziari dell’Unione. E proprio perché lo siamo chiediamo alle istituzioni europee di fare chiarezza, senza indugio, sulle caratteristiche finanziarie degli interventi in via di realizzazione.
Chiarezza e tempestività sono elementi determinanti perché la strategia d’intervento funzioni, dal momento che ogni opacità e ritardo favoriscono il rafforzarsi della cultura del sovranismo anti-europeo. Abbiamo il dovere storico, noi ma anche tutti gli altri Stati, della responsabilità della trasparenza, della tempestività, dell’efficacia, dell’efficienza e dell’equità. Sarebbe bene che ciascuna istituzione, ciascuno Stato riconoscesse le proprie debolezze, i propri limiti, prima di guardare le pagliuzze negli occhi altrui. L’idea di Europa storicamente si è rafforzata dopo ogni crisi. Speriamo sia così anche questa volta.
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