"Giraudo aveva partecipato anche alle indagini sulla Trattativa"
Piazza della Loggia, il colonnello e lo scandalo: l’ex Lady Golpe lo accusa di averle inviato video sessuali per ricatto
Non potevano non suscitare indignazione la notizia della denuncia nei confronti del colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo da parte di Donatella Di Rosa, pubblicata questa settimana da La Verità. L’alto ufficiale dell’Arma avrebbe tenuto nei confronti della donna, potenziale testimone dell’indagine sulla strage di Brescia, una condotta inqualificabile, inviandogli immagini e video con contenuto sessuale, e ventilando la possibilità di “barattare” le sue rivelazioni con un aiuto relativo alle vicende che l’avevano coinvolta circa 30 anni fa.
Se ne desume, sempre secondo quanto riportato dal quotidiano milanese, un atteggiamento di soggezione della donna, ex Lady Golpe, nei confronti del colonnello, aggravato dalle difficoltà che si era trovata a fronteggiare a seguito delle sue precarie condizioni di salute ed anche di uno sfratto.
Vale allora la pena ricordare che in passato il colonnello aveva partecipato anche alle indagini sulla fantomatica “trattativa Stato mafia” ed era stato consulente della Procura di Palermo, raccogliendo documenti per migliaia e migliaia di pagine riguardanti tutta la vita personale e professionale del generale Mario Mori. Quest’ultimo, a quanto pare, dev’essere una fissazione per Giraudo, se è vero che ne ha chiesto a Di Rosa anche in questa occasione.
Nel processo “trattativa”, l’avvocato Basilio Milio, difensore di Mori, aveva prodotto le dichiarazioni rese da Amos Spiazzi, un ufficiale
dell’esercito coinvolto nel Golpe Borghese, per mettere in evidenza il “modus operandi” di Giraudo. Spiazzi, sentito dai giudici di Brescia aveva affermato che “del capitano Giraudo non mi fido” in quanto “mi sono accorto che lui praticamente non è che fosse stato un collega e un amico che insieme con me voleva onestamente ricostruire la verità, ma che invece voleva avvalorare determinate tesi che non erano quelle che secondo me erano giuste”. “Ma lui travisava, e anche direi alle volte ha usato dei toni, non dico minacciosi, ma quasi”, dicendo “vedrà che se lei non aderisce a questa tesi eccetera le potranno capitare… molte cose molto sospette e molto brutte”, aveva quindi aggiunto Spiazzi.
Giraudo, davanti ai giudici di Palermo che processavano Mori, poi assolto in via definitiva, per essere venuto a patti con la mafia per far cessare le stragi, aveva ripercorso le prime fasi della sua carriera e di quella del generale, ricordando i rapporti tra quest’ultimo e Licio Gelli. I pm chiesero a Giraudo chiarimenti su una serie di documenti che dovevano provare i rapporti di Mori con l’ex venerabile della P2 e alcuni terroristi neri. In particolare, i pm avevano chiesto lumi sul rapporto di un ex ufficiale del Sid, Mauro Venturi, con Mori. Venturi aveva raccontato che l’allora capitano Mori gli aveva proposto di entrare nella P2: “Mi disse che non era una loggia come le altre e mi invitò ad andare a casa di Gelli. Alle mie perplessità reagì dicendomi che quelli del Sid erano garantiti e che sarebbero stati inseriti in liste riservate”.
Riguardo i contatti tra Mori e Gelli ci sarebbe stato anche un verbale di interrogatorio di Gianfranco Ghiron, molto vicino all’estrema destra, reso da costui al giudice istruttore di Brescia nel 1975. Ghiron raccontò, come sottolinearono i pm, di aver presentato a Mori il terrorista nero Amedeo Vecchiotti e che da egli ricevette un biglietto in cui si annunciava la fuga in Argentina di Gelli.
Inoltre, Giraudo aveva raccontato anche del protocollo ‘fantasma’ di cui aveva sentito parlare quando era al Sisde: “Mori suggeriva che la documentazione scritta di una fonte risultasse a servizio solo al momento in cui questa iniziava la manipolazione, il reclutamento e la fase di coltivazione e di sperimentazione non dovevano risultare agli atti”. “Giraudo ha proceduto ad una monumentale raccolta di dati e documenti relativi alla mia storia personale e spiando dal buco della serratura è riuscito a prendere in esame anche aspetti relativi alla mia vita privata, estranei quindi alla mia attività professionale, che di certo non mi mettono in imbarazzo”, fu allora la risposta di Mori.
“Per quanto riguarda Licio Gelli – proseguì il generale – osservo solo che, se costui aveva necessità di intrattenere rapporti con il Servizio italiano dell’epoca, e non penso che vi siano oggi più dubbi a riguardo, non aveva certo bisogno di lambiccarsi il cervello su come fare, cercando magari di contattare un giovane ufficiale come l’allora capitano Mori, avendo tra gli iscritti alla sua Loggia i capi del Sid, peraltro collegati ai due distinti indirizzi politici prevalenti in quel momento: Miceli, vicino alle posizioni di Aldo Moro, e Maletti a quelle di Giulio Andreotti”.
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