Letture
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“Piedi Freddi” di Francesca Melandri, il conflitto in Ucraina si specchia nella Seconda guerra mondiale
Questo è un libro politico. Inteso come riflessione morale, cioè la dimensione più alta della politica. Ed è anche un romanzo, un libro sulla memoria, un’indagine sulla figura del padre. Il risultato è “Piedi freddi” di Francesca Melandri (Bompiani), scrittrice e sceneggiatrice e acutissima osservatrice dell’ultima tragedia europea, l’invasione dell’Ucraina.
È un libro molto bello, va detto subito, perché perfettamente vi s’intrecciano come due liane distinte ma indissolubilmente aggrovigliate: la guerra del padre, Franco Melandri, che combatté l’assurda guerra mussoliniana in Russia riuscendo a compiere un’incredibile ritirata tra i ghiacci siberiani e poi ucraini; e poi l’altra, l’intreccio con la guerra di oggi contro l’Ucraina, accuratamente trattata dalla parte degli aggrediti. E con quanto dolore.
«C’è tanta voglia che finalmente vinca qualcuno. Certo, gli ucraini sono gli aggrediti, dispiace che perdano, ma se proprio devono vincere i russi, allora che sia, la si faccia finalmente finita con questa guerra. Ma insomma quanto dura? È come una partita di calcio che è andata troppo per le lunghe: la telecronaca ha perso smalto e interesse e il pubblico a casa si è francamente stufato. Ora, quando racconto che sto scrivendo questo libro, trovo sempre più spesso chi mi dice, magari con termini più educati ma questa è la sostanza, “Che palle, Francè, ancora con questa Ucraina”».
In poche righe c’è qui la fotografia della stanchezza verso il conflitto, che è la “nostra” stanchezza di occidentali annoiati, non certo quella del popolo ucraino che non molla, da due anni, tra morti, carneficine e tanto freddo – siamo al terzo inverno – e i piedi sono sempre freddi come quelli di papà Franco che combatté dalla parte sbagliata ma che, tornato, capì. E dunque il libro è attraversato dal dialogo a senso unico della Figlia con il Padre, con lei che vuole spiegargli di questo conflitto in quelle stesse zone che egli attraversò nella ritirata, e al tempo stesso capire da lui che cos’è la guerra: «Solo dell’amore raccontiamo in modo ossessivo quanto della guerra. E per lo stesso motivo: perché non capiamo niente». È una frase tanto bella quanto sconcertante.
E poi la grande illusione, qui in Occidente, che riguarda anche la sinistra italiana cui Francesca è legata: «”Mai più guerra!” abbiamo detto per ottant’anni. Pensavamo che dirlo fosse un impegno specifico, concreto. Che significasse: “Non tollereremo mai più aggressioni militari, né guerre genocidarie né invasioni di eserciti, le combatteremo con ogni mezzo, difenderemo il diritto internazionale basato sulla inviolabilità dei confini senza il quale non può esistere la democrazia”. In realtà stavamo solo dicendo: “Se arriva la guerra non ce la vogliamo trovare davanti. Che sia solo altrove, grazie. Che la guerra non ci riguardi, se non per un vago e compiaciuto afflato di compassione oceanica per sofferenze lontane”».
Già, perché tutto questo, oggi come ieri? Qui ecco lunghe e articolate riflessioni che Melandri ci porge sulla Russia, la storia russa, la continuità russa, dagli zar a Stalin a Putin, la Russia di Putin, «quella specie di neo feudalesimo dotato di vasti depositi di idrocarburi e spalmata su nove fusi orari». Tutti loro – Romanov, bolscevichi, putiniani – soggiogarono la libertà e la creatività del popolo ucraino, la terra di Gogol’ e Bulgakov e oggi di grandi scrittori che continuano a cantare la libertà della propria patria offesa e umiliata dal nuovo zar del Cremlino. «Oggi, quarto mese del terzo anno di guerra, sotto le bombe russe dirette a Kharkiv è finita la tipografia Vivet, la più grande dell’Ucraina, dove vengono stampati i libri delle più importanti case editrici: sei morti, l’edificio completamente distrutto compreso il magazzino. Che custodiva anche le copie del diario di Volodymyr Vakulenko (grande romanziere ucraino, ndr). Intanto la nostra parte di mondo continua a indulgere nei suoi piedi freddi di ignavia e di riluttanza di dare all’Ucraina le armi con cui fermare una buona volta questa pioggia di morte e distruzione».
Scrive Melandri con angoscia: «Menomale che non ci siete più, papà. Tu, mamma, zia. In questi giorni provo sollievo a sapere che siete già andati avanti, che vi siete scampati questo tempo di ferro. Che vi siete risparmiati di vedere impigliato il nuovo millennio nei sanguinosi brandelli del vostro Novecento». Noi non sappiamo come finirà. Sappiamo però che, quando lo slancio ideale permea la letteratura come in questo libro di Francesca Melandri, qualche fiaccola di speranza resta accesa.
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