Bologna stava per esplodere nel marzo del 1977. Bologna come Praga nella primavera del ’68, invasa dai carri blindati. Gli scontri tra i gruppi di studenti della sinistra extraparlamentare e le forze dell’ordine, che portarono alla morte dello studente Francesco Lorusso, rivelarono un’ansia distruttrice, incoraggiata dal pugno forte dell’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga. Le istanze studentesche della lotta all’autoritarismo, concomitanti al movimento femminista e a quello di liberazione omosessuale, si risolsero in convegni e manifesti contro la repressione, in cui comparirono Sartre, Foucault, Deleuze, Guattari, e alle quali seguirono bottiglie esplosive e Molotov. In questo scenario post-apocalittico, molti furono i giovani bolognesi, orfani di politica per causa e per elezione, che ripiegarono su fenomeni di dissipazione e di tossicomania. È in questa fauna antropologica che Pier Vittorio Tondelli assunse un ruolo iconico e rivoluzionario. Autore di otto libri in undici anni, tra romanzi, raccolte di racconti, articoli e testi teatrali, Tondelli colse lo spirito di un’epoca e intercettò un nuovo ideale di lettore (e di consumatore per l’industria editoriale): i nati negli anni 50.

In Italia, i giovani degli anni 80 furono i veri protagonisti del decennio, i figli del boom economico che, fasciati nei loro Levi’s, si svaccavano nelle piazze o nelle radio libere, trascorrendo il tempo tra le strisce dei fumetti su Linus, la poesia della Beat Generation e «alcuni audaci in tasca L’Unità», cantava Francesco Guccini negli stessi anni. La cifra distintiva di quella cultura giovanile fu la creazione di luoghi di evasione, fisici e metaforici, che facessero da contrappeso a una realtà intrisa di violenza e scoppiata pochi anni prima nei fatti del ’77. È stata una generazione che ha guardato più all’America che all’Italia provinciale. Il Piano Marshall aveva invaso librerie, edicole, negozi di dischi e fumetterie; il cinema hollywoodiano aveva stabilito i canoni estetici e comportamentali del decennio: si era maledetti come James Dean in Gioventù bruciata, si guardava alla virilità di Marlon Brando, mentre Diane Keaton in Io e Annie di Woody Allen aveva definitivamente spodestato Gilda, la femme fatale di Rita Hayworth.

Nel 1980 esce Altri libertini e qualcosa si rompe. Tondelli scrive un libro di denuncia sociale con protagonisti gli emarginati, le prostitute, i drogati, i settantasettini, gli omosessuali e tutti gli esclusi dalla grande macchina del consenso. «Un romanzo a episodi», come lo definì l’autore, che spezzò irreversibilmente il corso della letteratura. Nello stesso anno, Eco pubblica Il nome della rosa: l’Accademia e l’anti-accademismo a confronto nelle classifiche dei libri più venduti. Lo scandalo della pubblicazione di Altri libertini si trascinò di riflesso un’ordinanza di sequestro con l’accusa di oscenità e oltraggio alla morale pubblica. A venti giorni dalla sua uscita, un procuratore chiese di interrompere la circolazione del romanzo, definendo il suo contenuto «luridamente blasfemo» per la presenza di bestemmie e turpiloqui. Il processo si risolse ovviamente in formula piena, ma Tondelli era ormai diventato un cult.

Luciano Ligabue, correggese e suo vicino di casa, ricorda il momento in cui aveva ricevuto una copia di Altri libertini, sottobanco, da un rivenditore che si comportava come un pusher e di averlo immediatamente nascosto sotto la maglietta. L’esperienza di lettura tondelliana è infatti stata spesso paragonata a un’assuefazione, i sei racconti che compongono Altri libertini a un trip acido che non lasciò indifferente nessuno. Umberto Eco conobbe un Tondelli ventenne a un esame di Semiotica al Dams di Bologna e riferì di aver avuto fin da subito l’impressione di trovarsi di fronte a un giovanotto d’ingegno. All’esame gli diede 29 e quando pochi anni più tardi si rincontrarono, Eco rivendicò il suo gesto. «Se non ti avessi dato 29, probabilmente non lo avresti scritto», disse con una certa compiacenza. Si accaparrò la stima di Fernanda Pivano che lo definì «il più bravo di tutti» e l’allora giovane dirigente del Pci, Massimo D’Alema definì Altri libertini sull’Espresso «un romanzo politico», aggiungendo, «Se non altro perché l’esperienza giovanile che racconta svela una mancanza di politica, o se si preferisce, una crisi della politica».

E difatti i grandi stravolgimenti storici non entrano spudoratamente nella narrativa tondelliana, né vengono ridotti a una semplice scenografia. Gli echi della politica si scorgono proprio nella psiche dei protagonisti delle storie, nelle loro malinconiche nevrosi in cui si intravedono le conseguenze delle due tornate di rivolte studentesche: la castrazione dell’autorità politica del ’68 e la conseguente morte del padre simbolico del ‘77. Tondelli è andato oltre la contestazione. Ha preso le distanze da un’istituzione che considerava in crisi, ma il discorso politico non è mai sparito dal suo orizzonte di interesse, ciononostante fu accusato di essere interessato solo al proprio ombelico. I critici contemporanei di Tondelli, nella loro poca lungimiranza, svalutarono questa generazione perché disimpegnata, confondendo l’assenza di una esibita presa di posizione politica con la mancanza di una coscienza sociale. Sono stati ciechi di fronte a un tentativo tutto letterario, quello di Tondelli, di uscire dalla Storia, creando un terreno comune di resistenza mai cinica, nichilista o apatica, condotta solo sulla carta.

Dopo le abbuffate ideologiche delle contestazioni studentesche, Tondelli è stato il cantore di una generazione che non si accontentava di consumismo o di successo, di coloro che rifiutarono di essere considerati ospiti di un sistema più grande, di una macchina del potere intessuta di violenza e sopraffazione, e decisero di confidare solo nella propria macchina esistenziale. Si ritagliarono uno spazio nell’utopia e lo fecero attraverso una parlata gergale più conforme al linguaggio globalizzato della televisione che a quello del canone letterario e dell’Accademia. Nell’89 Tondelli scrive il romanzo della maturità, Camere separate, che trent’anni dopo suona come un testamento letterario e profetizza la sua imminente fine. Muore di Aids il 16 dicembre del 1991, a 36 anni. Lo ricorderemo nell’invito a scrivere che rivolge a tutti gli under 25 degli anni 80, affinché il fiore della gioventù e della rivoluzione non appassisca: «Quel fiore è lì adesso, quel fiore siete voi».