Arrestato nel 1997, verrà scagionato nel 2015
Pietro Paolo Melis, innocente in carcere per 18 anni: l’infinito calvario dopo la condanna per sequestro
Un ‘happy ending’, se così si può dire, alla fine è arrivato, ma non prima di 18 lunghi anni di reclusione da innocente. È la storia di malagiustizia, devastante, che vede protagonista Pietro Paolo Melis. Allevatore della provincia di Nuoro, è il 10 dicembre del 1997 quando i carabinieri lo arrestano alle porte del suo paese, Mamoiada.
L’accusa? Aver organizzato il rapimento di Vanna Licheri, imprenditrice agricola sequestrata il 14 maggio 1995 e mai più ritrovata. Melis al momento dell’arresto è tranquillo: sa di essere innocente nonostante abbia già ricevuto un avviso di garanzia per il caso.
Non sa però che finirà in carcere: con lui ci finiscono Giovanni Gaddone, ‘emissario’ dei sequestri, Sebastiano Gaddone e Tonino Congiu, ritenuti i custodi della donna, e Salvatore Carta. Di questi verranno condannati solo Melis e Gaddone. In primo grado, siamo ancora al 1997, l’allevatore viene condannato a 30 anni.
Inutile il suo proclamarsi innocente, ricordare ai giudici che anche la sua famiglia è stata vittima dei sequestri. Per il tribunale infatti è di Melis la voce che viene intercettata al telefono con Gaddone per organizzare il sequestro dell’imprenditrice Licheri. Passano due anni e, come racconta Il Dubbio, il 13 dicembre 1999 la sentenza diventa definitiva: Melis dovrà trascorrere 30 anni dentro una cella.
L’allevatore, 38enne all’epoca dei fatti, è disperato ma non molla: in carcere studia e si diploma all’istituto artistico, assieme a tre compagni vince un concorso con un progetto sulle fontane di Spoleto, ‘conquistando’ sette ore di libertà.
Chi invece da fuori il carcere non molla la presa sul caso sono gli avvocati Maria Antonietta Salis e Alessandro Ricci, che tentano in ogni modo di dimostrare l’innocenza di Melis. Tentano nel 2012 la revisione del processo, respinta dalla Corte d’Appello di Roma, quindi due ricorsi in Cassazione, che finalmente accoglie la tesi dei legali: servono nuove analisi su quella telefonata che aveva inchiodato l’allevatore di Mamoiada.
Una tesi che viene confermata nel processo di revisione: la perizia fonica smentisce quanto accertato nel primo processo, quella voce non è di Melis e non è neanche di una persona originaria di Mamoiada. Insomma, chi parlava con Gaddone non potrà mai essere identificato.
Così, dopo oltre 18 anni di reclusione, la corte d’Appello di Perugia il 15 luglio 2016 ( a oltre 2 anni dalla riapertura del processo) dà ragione a Melis: è assolto perché non ha commesso il fatto, può tornare a casa.
Già, ma quale casa? Il padre di Pietro è morto mentre il figlio era in carcere ,la compagna con cui voleva costruire una famiglia ha resistito otto anni prima di lasciarlo. Una vita rovinata per sempre.
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