"Spesso ha preso le distanze dai valori occidentali"
Pigi Battista: “Tutte le ambiguità di Papa Francesco: dall’Ucraina a Israele alla frase grave dopo Charlie Hebdo”
“Wojtyla e Ratzinger avevano ricostruito un dialogo profondo tra cattolici ed ebrei. Ora quel dialogo si è incrinato”

Pierluigi Battista, giornalista, scrittore, fiero difensore dei valori dell’Occidente, fa la voce fuori dal coro. Di fronte al mainstream agiografico, ci tiene a mettere in evidenza quelle criticità, del papato di Jorge Mario Bergoglio, di cui dovrà occuparsi la storia.
Riformatore, messaggero di pace, ma anche populista. Ricorderemo così Papa Francesco?
«Il problema non riguarda solo il suo essere populista. Le scarpe nere al posto di quelle rosse, Santa Marta e le altre esteriorità che conosciamo. Per capire cos’è stato papa Francesco, bisogna andare oltre queste esteriorità».
Quali sono i punti critici del suo pontificato, allora?
«Sulle grandi questioni della politica internazionale, Papa Francesco ha mantenuto posizioni molto ambigue. Prendiamo l’Ucraina. Non ha mai espresso una reale solidarietà verso chi resiste all’invasione russa. Nessuna parola chiara sulle stragi di civili a Bucha e Mariupol. Mentre accadevano atrocità indicibili, lui rilanciava la narrativa tale per cui era la Nato a fare pressione ai confini russi. Non ha detto nulla nemmeno sulla strage delle Palme a Sumy (il raid russo che ha ucciso più di 30 civili, tra cui 2 bambini, domenica 13 aprile, Ndr), con i fedeli che uscivano dalla messa».
Era neanche due settimane fa. Stava già molto male.
«Non lo metto in dubbio. Ma una nota scritta la Santa Sede avrebbe pur potuto diramarla. È stata una palese sottovalutazione della violenza e della ferocia dell’occupazione putiniana, con una totale indifferenza nei confronti dei 19 mila bambini ucraini deportati in Russia».
Su questo però il cardinale Zuppi si è speso in prima persona compiendo due viaggi a Mosca.
«Impegno ammirevole, bisogna dirlo. Ma cosa sono poche decine di bambini rilasciati, in confronti ai 19 mila totali ancora in mano di Mosca? Ambiguità, ripeto, che rappresentano un limite fortissimo alla credibilità del pontificato di papa Francesco».
All’inizio ha citato anche Israele. Vale lo stesso discorso?
«Assolutamente sì. Papa Bergoglio ha giustamente denunciato le morti civili a Gaza, ma non ha mai chiesto ad Hamas di arrendersi, di liberare gli ostaggi, di smettere di usare i bambini come scudi umani. Non ha mai detto una parola chiara su questo. E ha lasciato intendere, anche recentemente – penso all’incontro con la poetessa Edith Buck, sopravvissuta alla Shoah – una vicinanza all’idea che Israele stesse compiendo un genocidio. Ambiguità anche su questo. Mentre il genocidio è qualcosa di molto preciso. Non basta evocarlo: o c’è lo sterminio sistematico, come accadde nei Lager, oppure è un’altra cosa. E queste distinzioni, soprattutto per la Chiesa, hanno un peso enorme».
È stata un’inversione di rotta rispetto ai predecessori?
«Sicuramente. Papa Wojtyla e Papa Ratzinger avevano ricostruito un dialogo profondo tra cattolici ed ebrei. Ora quel dialogo si è incrinato, come ha notato anche il rabbino Di Segni. E questa non è una questione di fede, è una questione politica».
Contro l’Ucraina che ci difende da Putin, contro Israele, voce dell’Occidente incastonata nel Medio Oriente. Papa Francesco ha contribuito al declino del mondo occidentale?
«Parlare di contributo è inesatto. Piuttosto direi che è stato parte di un clima più ampio di diffidenza verso l’Occidente. Il Papa si è unito spesso al coro critico dei nostri valori. Ovvero quella parte di mondo che descrive l’Occidente come militarista, guerrafondaio, avido.
Eppure è proprio verso l’Occidente che migliaia di disperati si dirigono, ogni giorno, cercando un futuro migliore. Questo non succede per caso. La libertà di espressione, penso ai morti di Charlie Hebdo, a Parigi, non a New York, questo è bene specificarlo, i diritti, le possibilità economiche: sono queste le ragioni per cui l’Occidente, pur con tutti i suoi difetti, resta un modello».
Perché Charlie Hebdo?
«Perché fu dopo la strage jihadista nella redazione del giornale satirico francese che Papa Francesco disse che “se uno parla male di mia madre, può anche aspettarsi un pugno in faccia”. Una frase gravissima, con cui, in pratica, giustificava la violenza contro la libertà di espressione. Questo è il tema centrale, perché tocca il cuore dei valori occidentali.
E quando parliamo di crisi dei valori occidentali, di libertà, di mercato trasparente, non possiamo ignorare che il Papa spesso ha scelto di prendere le distanze da questi valori, piuttosto che difenderli».
Il successore di Bergoglio dovrà risolvere tutte queste incompiute. Ci riuscirà?
«Non lo so. I vaticanisti sbagliano le previsioni nella maggior parte dei casi. Io, che vaticanista non sono, preferisco non sbilanciarmi».
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