Brutte notizie da Bruxelles. Mentre il governo attacca la Commissione. L’Europa ieri ha tagliato le stime economiche dell’eurozona: per l’Italia è prevista una crescita nel 2023 di +0,9 e di +0,8 nel 2024. Le previsioni del governo, risalenti ad aprile, erano +1% per quest’anno e +1,5% per l’anno prossimo. Anche l’Istat non dà buone notizie: la produzione industriale vede un calo dello 0,7 mese su mese e -2,1% nell’anno. Al di là dei numeri, questo significa che il ministro Giorgetti dovrà rivedere pesantemente la Nota di aggiornamento del Def attesa per il 27 settembre. Un decimo di Pil sono circa due miliardi. Significa che ci saranno due miliardi in meno per far tornare i conti della manovra il cui fabbisogno ammonta, nelle previsioni, a trenta miliardi. Ne sono disponibili meno di dieci. Gli altri vanno trovati. O con tagli della spesa – spending review – o revisione delle tax expenditure, la giungla di sgravi fiscali che qua e là ammontano a circa 120 miliardi. Da anni ogni governo prova a mettere le mani su questa voce. Senza successo però.

Il quadro economico ancora così incerto impatta direttamente sulla campagna elettorale per le Europee (sistema proporzionale e voto di preferenza) che per quanto siano in calendario a giugno prossimo e per quanto Giorgia Meloni abbia chiesto “compattezza e serietà” agli alleati, Matteo Salvini ha invece già iniziato. Andando per la sua strada: quella dell’antieuropeismo e dei sovranismi. Sfidando giorno dopo giorno gli alleati, Forza Italia e la stessa Meloni che resta alta nei consensi ma sta perdendo un pezzo del suo elettorato che la vorrebbe più a destra e più identitaria.

Ma non c’è solo la dinamica da “campagna elettorale” e la ricerca di un presunto consenso a far partire una nuova stagione di attacchi all’Europa. La Commissione, le sue lentezze e la sua rigidità/severità diventano anche l’alibi perfetto, in questa fase, per i conti che non tornano.

Con queste due chiavi si possono tentare di leggere i fatti delle ultime ore – compresi gli attacchi a freddo al commissario europeo Paolo Gentiloni – e anche molti altri che verranno. Il primo ad attaccare Gentiloni è stato Salvini. “Sembra che l’Italia non abbia neppure un commissario in Europa…” disse mercoledì della scorsa settimana a proposito delle rate del Pnrr che non arrivano (la terza arriverà, è ufficiale, tra fine settembre e ottobre; la quarta non si sa), delle richieste italiane, al momento inascoltate, di togliere dal debito le spese per la messa in sicurezza dei territori e quelle per la guerra.

La premier Meloni ha confermato il richiamo a Gentiloni il giorno dopo. E lo ha rilanciato nella conferenza stampa finale del G20, domenica, quando ha accusato Bruxelles di rallentare l’acquisizione di Ita da parte di Lufthansa. “La pratica è in stallo e proprio da parte di chi per anni ci ha chiesto di trovare una soluzione al problema Ita” ha detto Meloni che ha puntato il dito anche sulla nomina dell’ex ministro Franco nel board della Bei. Un altro dossier in stallo, frenato, è il sospetto, “da chi sa tutelare i propri interessi nazionali”.

Un altro siluro a Gentiloni. Che con tutto questo c’entra poco o nulla e, come ha detto ieri, “non ha alcuna intenzione di replicare perché io voglio bene al mio paese”. Cosa che sa bene il ministro economico Giancarlo Giorgetti che infatti ha scelto ben altri metodi per vedere di velocizzare le due pratiche: colloqui riservati e a margine di eventi. Laterale, nulla di frontale. Perché funziona così: certi nodi si risolvono con la diplomazia e non attaccando a testa bassa visto che l’Italia, tra debito e concessioni pubbliche, ha da farsi perdonare più cose. Non è un caso che ieri Bruxelles abbia fatto pervenire, per l’ennesima volta, la raccomandazione a fare presto sul Mes, il meccanismo di stabilità europeo che l’Italia è l’unico paese a non aver ancora ratificato. Per questioni di principio (“mai il Mes”) e non certo di merito.

In questo quadro che si sta deteriorando giorno dopo giorno, Salvini c’infila Pontida e Marine Le Pen, la leader della destra identitaria francese di cui la Lega è alleata nel gruppo europeo Identità e Libertà. La presenza di Le Pen alla festa della Lega è un dito nell’occhio per Forza Italia. E per i Fratelli. Tajani ha già detto più volte: “Nella nostra famiglia, quella dei Popolari europei, non c’è posto per gli estremisti”. Ma Salvini insiste: “I Conservatori europei (la famiglia di Meloni che sta tentando l’accordo con i Popolari facendo fuori le estremità, ndr) devono stare con noi, tutte le destre unite”. Il leader della Lega si sta portando a spasso gli alleati. E non erano questi gli accordi.

Claudia Fusani

Autore