La recente approvazione del disegno di legge sull’autonomia differenziata ha rimesso la questione meridionale al centro della scena politica. Tra i piagnistei dei meridionalisti d’assalto, propugnatori di un revisionismo d’accatto che vede il cattivo Nord affamatore del Sud, e le grida contro i tentativi di dividere un Paese ancora forse troppo lontano dalla piena unificazione, pare essersi persa la possibilità di un dibattito serio e pacato che consideri i potenziali effetti della riforma a partire dalle attuali differenze tra le due parti d’Italia.

L’analisi

Ma un dibattito serio impone, innanzitutto, la disponibilità di dati attendibili, raccolti in maniera metodologicamente corretta e interpretati minimizzando le inclinazioni personali, le preferenze individuali o l’agenda politica di chi li produce. La situazione economica del Sud resta fortemente arretrata. Nel suo recente rapporto sulle economie regionali la Banca d’Italia evidenzia come il tasso di crescita del PIL per il periodo dal 2019 al 2022 abbia fatto registrare il suo valore più basso proprio nel Mezzogiorno e, sebbene la crisi pandemica abbia determinato una leggera riduzione del divario tra Nord e Sud in ragione di un minore rallentamento dell’attività economica nelle regioni meridionali per il maggior peso del settore pubblico, i dati consuntivi più aggiornati hanno visto allargarsi di nuovo la forbice della ricchezza.

La conferma

Anche il rapporto 2024 dell’ISTAT conferma che il Sud resta il grande malato del Paese con livelli di Pil pro-capite di poco superiori alla metà di quelli registrati nel Nord. Fin qui i fatti e i dati consuntivi disponibili che sono una base solida e seria per ragionare e dibattere. Che succede però se ci avventuriamo nel campo delle previsioni economiche che, come ricordava Galbraith, hanno l’unica funzione di rendere l’astrologia una materia rispettabile? Lo Svimez, nel suo ultimo rapporto, prevede per il 2023 una crescita sostenuta dell’economia meridionale con un tasso del 1,3% che supera il tasso nazionale fermo allo 0,9% e batte anche il Nord-Est e il Nord-Ovest del Paese fermi all’1% e allo 0,9%. La crescita dell’occupazione al Sud è più alta di quella di altre parti del Paese guidata dalla crescita del valore aggiunto nel tradizionale settore delle costruzioni e dall’apporto decisivo degli investimenti pubblici che avrebbero contribuito ad almeno il 40% della crescita complessiva del PIL. È il mondo alla rovescia in cui finalmente il Sud cresce più del Nord e comincia a chiudere il divario, con buona pace di chi vede nell’autonomia differenziata l’unica risposta ai continui trasferimenti tra le regioni più ricche e quelle più povere del Paese.

Ogni previsione sembra fare storia a sé

Qualche giorno prima un rapporto previsionale di Prometeia aveva però evidenziato percentuali di crescita più basse di quelle dello Svimez per le singole regioni del Sud e i primi rapporti sulle economie regionali pubblicati annualmente dalla Banca d’Italia indicano una crescita per il Mezzogiorno pari allo 0,6%, di gran lunga inferiore alle stime dell’ente che si occupa dello sviluppo del Mezzogiorno. Insomma, ogni previsione sembra fare storia a sé e il malcapitato lettore delle notizie del giorno si trova a esultare o a deprimersi a seconda dei dati futuri che gli vengono forniti. Non ci sono rimedi semplici a questa cacofonia di dati e di previsioni e l’unica ricetta resta quella di approfondire metodologie e presupposti per scoprire quali criteri e quali modelli hanno generato i diversi risultati. Un compito non facile per il nostro malcapitato lettore ma un obbligo morale e istituzionale per i politici e i soggetti che ricoprono ruoli istituzionali e che devono resistere alla tentazione di commentare con toni trionfalistici o puntare dita accusatrici, sulla base di previsioni che spesso sono amaramente smentite dai fatti a distanza di qualche tempo. Ronald Coase diceva che se torturi i dati abbastanza, alla fine confesseranno quello che vuoi. Speriamo solo che questi dati così maltrattati non diventino la base per decisioni politiche ineffi caci e dannose.

Carlo Amenta

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