La frenata congiunturale del PIL italiano nel secondo trimestre, pari a -0,3% rispetto al primo trimestre secondo la stima preliminare dell’Istat, non deve essere drammatizzata ma nemmeno sottovalutata. Non va drammatizzata perché la crescita acquisita per quest’anno è stata solo marginalmente scalfita da tale frenata, con la perdita, in sostanza, solo di un decimale, e rimane pur sempre dello 0,8%. Ciò significa che chiudere il 2023 con una espansione economica intorno all’1% o di poco superiore rimane comunque un traguardo a portata di mano dell’Italia.

Inoltre, nonostante la battuta d’arresto, il PIL italiano del secondo trimestre resta comunque quello cresciuto di più rispetto ai livelli pre-pandemia del quarto trimestre 2019 (+2,2%), nel confronto con gli altri maggiori Paesi dell’Euro area, cioè Germania (+0,2%), Francia (+1,7%) e Spagna (+0,4%). Tuttavia, il calo dello 0,3% del nostro PIL è stato superiore a quello immaginato da tutti i previsori, che pronosticavano semplicemente una crescita nulla. E ciò deve suonare come un campanello d’allarme. Prima di tutto per la difficoltà di uno scenario europeo che vede la Germania ancora ferma nel secondo trimestre 2023 dopo i precedenti due trimestri successivi in calo (-0,4% e -0,1%) e una Francia che deve la sua forte crescita del PIL tra aprile e giugno (+0,5%) unicamente alla domanda estera netta, grazie all’export straordinario di un piroscafo, mentre i consumi delle famiglie sono invece diminuiti pesantemente (-0,4%), probabilmente ben di più di quanto siano diminuiti in Italia (il nostro dato non è ancora disponibile). Per il nostro Paese avere due mercati di esportazione importanti come Germania e Francia praticamente paralizzati non è certo un bene. La produzione industriale si è fermata innanzitutto per questo.

Ma si è fermata anche per il contemporaneo ridimensionamento della produzione delle costruzioni dopo la fine dei superbonus edilizi che avevano “drogato” il settore. Solo i servizi, verosimilmente trainati dal turismo, sono lievemente aumentati nel secondo trimestre.

Al di là di tutto ciò, quello che deve preoccupare di più è però il fatto che sta ormai venendo meno l’abbrivio ereditato dalla nostra economia dal brillante biennio 2021-2022 e anche dalle riforme avviate negli anni immediatamente precedenti la pandemia. Passati l’effetto “industria 4.0” e anche l’effetto “Draghi”, il nostro Paese ha ora bisogno di nuove risposte per reagire alle difficoltà del contesto europeo, alla lenta diminuzione dell’inflazione non energetica e alla erosione del potere d’acquisto delle famiglie. La prima risposta non può che venire dal PNRR, dalla cui esecuzione dipende la possibilità di gestire con successo la “staffetta” tra la eccellente crescita post pandemica dell’Italia e quella futura, ivi incluso tutto il contenuto di innovazione ed ammodernamento del Paese che il PNRR può portare con sé. Ma il Governo deve anche dare risposte alle famiglie e alle imprese e il banco di prova sarà la nuova Legge Finanziaria dove occorrerà trovare un delicato equilibrio tra conti pubblici e politiche per la crescita. Senza dimenticare la partita delle liberalizzazioni, che è per ora rimasta al palo.