Nei giorni scorsi il Riformista ha ospitato le riflessioni di Giuliano Cazzola e di Chicco Testa. Il primo ha descritto bene gli aspetti critici del nostro sistema previdenziale, il secondo ha toccato vari temi – a partire dal debito pubblico fino al senso “sociale” dell’innovazione – che correttamente dovrebbero appartenere a un’agenda riformista, se solo ve ne fossero in circolazione. Quasi contemporaneamente la Cgia di Mestre, analizzando dati Inps e Istat ha sottolineato il fatto che entro pochi anni il numero delle pensioni erogate supererà quello degli stipendi pagati.

Da qui al 2028 sono infatti destinate a uscire dal mercato del lavoro circa 2.9 milioni di persone, che con ogni probabilità non saranno sostituite. Considerando come di questi 2,9 milioni di lavoratori più di 2 risiedano nelle regioni centro settentrionali, è evidente che andrà a consolidarsi anche a nord un trend che già oggi nel Mezzogiorno vede i pensionati sopravanzare gli occupati. Con gli intuibili effetti che questo avrà sulla tenuta dei conti pubblici. Ormai sono anni che lo spettro del default pensionistico aleggia sull’Italia, non certo per mero esercizio di pessimismo. Conti alla mano, non potremo reggere a lungo senza interventi strutturali che garantiscano il sistema sanitario e il welfare state (per come li abbiamo conosciuti finora). Proprio Testa ha richiamato l’attenzione sulla crescita – perché per redistribuire ricchezza bisogna prima aver-la prodotta – e poi su questione demografica e migrazioni.

Chi pensa alle contromisure?

È davvero inspiegabile come un paese che ha da tempo davanti a sé una prospettiva statistica chiara, in cui si evidenzia una prossima voragine contributiva che coinciderà con una forte contrazione demografica, non abbia pensato a efficaci contromisure. Non solo. Anziché provare a risolvere i problemi, la politica li ha talora addirittura aggravati, con una esasperata e spesso cieca ricerca di consenso. Basti pensare che il dibattito degli ultimi anni è stato tutto occupato, a destra, da una vera e propria crociata contro l’immigrazione. Ma proprio gli immigrati oggi sarebbero, ironia della sorte, un rimedio di pronta soluzione allo scenario descritto, attraverso processi più veloci e rigorosi di regolarizzazione (anche considerando come vi siano in Italia molti irregolari non rimpatriabili).

Il supporto alla natalità

L’altra grande questione su cui la politica nazionale è complessivamente parsa assente, o almeno non sufficientemente incisiva è poi quella del supporto alla natalità. A lungo, a sinistra, il sacrosanto impegno sui diritti civili ha fatto passare in subordine – perlomeno un subordine culturale – le politiche per la famiglia. Come se non si trattasse, e non si tratti tuttora (ce lo insegnano le democrazie nordeuropee) di pilastri egualmente portanti di una società cosiddetta evoluta. Ora che a governare è la destra, slogan a parte, non sembra che le cose tendano a migliorare. Soprattutto se, come pare, il governo dovesse rinunciare all’assegno unico, che pur con i suoi limiti è stato uno strumento di obiettiva utilità.

Solo teorie

Insomma, la politica italiana si confronta da tempo sul piano di pure teorie ideologiche, che alimentano o dovrebbero alimentare il consenso, spesso a scapito della concretezza dei fatti. Per sua e nostra fortuna, questa generazione di leader non si è ancora trovata a fronteggiare autentici disastri sociali, ma senza una robusta correzione in corsa i dati dicono che è solo questione di tempo. Paghiamo l’abitudine agli slogan e la lettura di ogni fenomeno complesso sul presupposto che tanto “c’è tempo”, e che la corda si può tirare per qualche altro metro. Inoltre, a forza di parlare di emergenze fasulle si finisce poi anche con il convincersene, dimenticando quelle vere. Un bell’aforisma di Karl Kraus spiegava come scoppiano le guerre: “I diplomatici ingannano i giornalisti e poi ci credono quando leggono il giornale”. Mutatis mutandis, funziona ancora così.

Gabriele Molinari

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