Molti dati del 55esimo rapporto Censis sono drammatici. Sotto due aspetti: quello della diffusione della irrazionalità e quello della diffusione della povertà. Per il primo, basta dire che per circa tre milioni di cittadini italiani il Covid non esiste e la terra è piatta. Per il secondo, vi è un dato assolutamente impressionante: il numero delle famiglie in povertà assoluta negli ultimi dieci anni si è raddoppiato, passando da circa un milione ad oltre due milioni. I due aspetti sono, probabilmente, collegati, costituendo la fuga nella irrazionalità una conseguenza della grande sofferenza individuale e collettiva, di cui le cifre sulla povertà assoluta sono un indicatore.

La questione povertà, nei termini messi in evidenza dal rapporto Censis, pone interrogativi soprattutto sul piano strategico. Difatti, non si tratta di un fenomeno contingente e destinato a rientrare celermente, ma di un fenomeno maturato in un arco temporale medio lungo, come tale espressivo di una linea di tendenza, che si è consolidata negli anni. Ed è inevitabile, di fronte ad una situazione del genere, che risuoni subito il grido “togliamo ai ricchi per dare ai poveri”. Ma, al di là di ogni considerazione su chi siano i ricchi e su quali effetti reali abbia un ulteriore appesantimento della pressione fiscale, è inevitabile osservare che si tratterebbe di una soluzione priva di prospettiva strategica.

Per rendersene conto, basta prendere in esame un dato: l’Italia è l’unico paese, tra i trenta più industrializzati, nel quale il potere di acquisto assicurato dalle retribuzioni medie è, negli ultimi trenta anni, diminuito. Il calo è stato del 2,9%. In Germania esso è aumentato del 33,7% e negli Stati Uniti del 47,7%. Sono dati i quali indicano, in modo inequivocabile, che è il sistema nel suo complesso che è incapace di produrre ricchezza e che, di conseguenza, si è inevitabilmente impoverito. L’esperienza consente anche di rilevare quali siano gli effetti di un uso malaccorto della leva fiscale. Il mercato immobiliare italiano, sottoposto come noto ad un regime fiscale severo, è l’unico, tra quelli dei paesi industrializzati, che, nell’ultimo decennio, ha dovuto registrare un costante calo delle quotazioni. Al contempo, specie nell’ultimo anno, nelle altre nazioni le quotazioni sono schizzate in alto. Quali le conseguenze per le famiglie? I loro risparmi, concentrati sulla casa, si sono deprezzati e, quindi, hanno visto diminuire il tesoretto messo da parte con tanta fatica.

Infine, se all’alta pressione fiscale, che colpisce i cittadini italiani, si aggiunge il fatto che su di essi grava un debito statale stratosferico, diventa inevitabile constatare che è il sistema paese nel suo insieme che è fallito. Di questo fallimento sono molte le espressioni: la fuga dei cervelli, la bassa occupazione delle donne, l’altissima disoccupazione giovanile, il progressivo decremento della natalità. Pensare di risolvere tutto questo con il grido “togliamo ai ricchi per dare ai poveri” significa fare solo demagogia e disinteressarsi della realtà. La quale chiama, oggi, a sfide estremamente complesse, che non tollerano ingenue semplificazioni. Basta considerare il processo di decarbonizzazione e di passaggio alle energie pulite, cui è obbligata anche l’Italia. Non è una transizione indolore ed a costo zero. Ciò a prescindere dalle contingenti variazioni del mercato delle fonti energetiche fossili. Sino a che non sarà disponibile una energia pulita ed a basso costo, sarà l’intero paese a soffrirne, compreso il comparto produttivo. Con la conseguenza che il divario con gli altri paesi continuerà ad aumentare, se questi saranno, viceversa, capaci, come in parte già sono, di risolvere prima e meglio il problema. Ed aumenterà anche l’area della povertà. Non c’entra niente, rispetto al tema accennato, l’uso della catalogazione ricchi e poveri, che finisce con l’essere solo il diversivo, cui ricorre chi non ha la più pallida idea di come risolvere la questione.

Sono considerazioni, queste, che, si badi bene, non intendono affatto negare l’esistenza di un problema povertà, che la pandemia ha esacerbato portandolo ai livelli intollerabili, registrati dal rapporto Censis. È urgente, anzi, che sia messo a punto uno strumento più sensibile e più specifico del reddito di cittadinanza, che troppo spesso si è, da un lato, prestato ad abusi mentre, dall’altro, non è stato in grado di dare protezione a molti di coloro, che ne necessitavano. Tuttavia, non si deve neppure dimenticare che l’area della povertà dipende direttamente dalla capacità del paese, nel suo insieme, di creare ricchezza. Ed è questo l’obiettivo primario che deve essere perseguito, se si vuole che le nuove generazioni possano avere fiducia nel futuro, invece che dover fare affidamento sulla pensione dei nonni.
Peraltro, quanto questo obiettivo sia realisticamente lontano è testimoniato da un episodio eclatante di pochi giorni fa.

Il neosindaco di Roma, Gualtieri, ha promesso, subito dopo l’elezione, che Roma sarebbe subito diventata una città pulita. Sennonché si è scoperto che, per cercare di conseguire questo risultato, è stato promesso un premio ai dipendenti della municipalizzata Ama, che invece di darsi malati fossero andati regolarmente al lavoro. In un momento, dunque, nel quale tanti lavoratori autonomi hanno chiuso le loro attività per la pandemia, chi ha beneficiato della tutela di un posto sicuro ha preteso un bonus solo per adempiere ai propri doveri! È una vicenda che ha gettato nel grottesco tutti i protagonisti: il neosindaco che si è subito adeguato a questo andazzo, i dirigenti di Ama, che hanno dimostrato una incapacità di governo dell’azienda, i sindacati che hanno profittato, a danno dell’intera collettività, dell’inadeguatezza di quei dirigenti.

In un paese con una già alta pressione fiscale sono questi i nodi da sciogliere per rimettere in moto il sistema. Eppure, occorre, purtroppo, dotarsi di una buona dose di scetticismo e rassegnazione. Ciò, nonostante Draghi ed il Pnrr. La lettura di molti degli emendamenti alla legge di bilancio dice, infatti, che il paese rischia seriamente di essere senza speranza. Si passa, come ha rilevato Carlo Nordio sul Messaggero, dalla richiesta di abbattimento dell’Iva sulle ostriche a quella sulla pappa reale e sui profilattici. Sono espressione di una cultura del piccolo cabotaggio, che evidentemente ha perso ogni collegamento con una sia pure superficiale consapevolezza del bene collettivo e della complessità delle sfide che deve affrontare il paese. Si tratta di una cultura, che spiega il premio ai dipendenti dell’Ama per il semplice fatto di non darsi malati. Il risultato di questo modo di procedere, che non è di oggi avendo segnato in modo irrimediabile soprattutto gli ultimi anni, è sotto gli occhi di tutti: le famiglie in povertà assoluta sono passate, come si è detto, da un milione ad oltre due milioni.