Le nascite in Italia sono passate da 514 mila del 2013 a 379 mila del 2023. Prima di ragionare sui possibili interventi per invertire questa tendenza, va sgombrato il terreno da una obiezione: perché dobbiamo preoccuparci? Non siamo già troppi? Non potrebbero le immigrazioni supplire alla bassa natalità?

Il problema non è tanto il numero delle persone che vive in Italia, ma la distribuzione degli abitanti per età. Se la fecondità non aumenterà, sarà praticamente impossibile, a meno di fortissimi saldi migratori positivi, mantenere nei prossimi decenni un numero di persone in età di lavoro pari a quello odierno, mentre i boomer (nati fra il 1955 e il 1975) andranno ad affollare la terza e la quarta età. I figli, oltre a essere un “bene privato”, sono anche un “bene comune”, perché senza nuove leve sanità e sistema pensionistico diventano insostenibili, e in molte aree interne e marginali si genera, già oggi, un intenso processo di spopolamento. Certo, in teoria le immigrazioni potrebbero “sostituire” le mancate nascite. Ma nella pratica non accade così: i paesi ricchi in equilibrio demografico (in primis Stati Uniti e Francia, cui si sta aggiungendo la Germania) bilanciano l’incremento degli anziani con una fecondità ben superiore a quella italiana, integrata da saldi migratori positivi.

Inoltre, gli individui e le coppie hanno – mediamente – un numero di figli inferiore rispetto a quelli che vorrebbero, e in Italia questa differenza è particolarmente accentuata. Avere i figli che si desiderano non è un “diritto”, ma non si vede perché questo desiderio debba essere frustrato, a causa di ostacoli esterni eliminabili. Del resto, chi rinuncia a un figlio lo fa a ragion veduta, perché la povertà si impenna al crescere del numero di figli. Nel 2023, il 14% (1,3 milioni) dei minori residenti in Italia era in povertà assoluta, un valore assai più alto rispetto a dieci anni fa (10%), a fronte del 6% dei poveri fra gli over-65. Un bambino non ha scelto il numero dei suoi fratelli! Quindi, se – come dice la Costituzione – lo Stato deve intervenire per stabilire pari opportunità, allora interventi a favore dei bambini con fratelli sono doverosi. Le 135 mila nascite perse nell’ultimo decennio sono dovute per il 60% alla diminuzione delle donne in età fertile, per il 40% alla riduzione della proporzione dei giovani in coppia, perché in Italia come altrove quasi tutti i bambini nascono all’interno di una coppia convivente. Il comportamento fecondo delle coppie non è invece molto cambiato nel corso dell’ultimo decennio.

Per invertire il trend negativo, è quindi innanzitutto necessario aumentare il numero di donne (e di uomini) in età fertile. Nei prossimi vent’anni, ciò è possibile solo con intensi saldi migratori positivi, ossia aumentando il numero degli stranieri che si stabiliscono in Italia e arrestando l’emorragia di giovani che vanno all’estero. Se il governo vuole effettivamente spingere verso l’alto la natalità, la prima cosa da fare è stabilizzare i 600 mila stranieri i cui datori di lavoro, con il clic day di novembre 2023, hanno chiesto di usufruire delle quote di ingressi. Molto più complesso invece è convincere i giovani a restare in Italia o a rientrare dall’estero. Le agevolazioni fiscali per il “rientro dei cervelli” hanno funzionato, ed è poco comprensibile che il governo le abbia ridotte. Per evitare che i giovani se ne vadano, invece, bisognerebbe aumentare gli stipendi dei primi anni di lavoro, diminuire la precarietà e accelerare le progressioni di carriera, ossia rimuovere gli ostacoli che inducono i nostri figli ad andarsene. Vaste programme, per cui sarebbero necessarie profonde riforme di tutto il sistema Italia. Bisogna poi aiutare i giovani a metter su famiglia. Una ricerca recente mostra come la maggior determinante della uscita tardiva dalla casa dei genitori è il basso reddito, molto più importante – ad esempio – del fatto di avere un lavoro stabile. L’idea che i giovani preferiscono evitare responsabilità familiari è, invece, del tutto errata. Servono quindi stipendi decenti (e qui torniamo ai discorsi precedenti), un mercato degli affitti a prezzi accessibili, mutui agevolati per le giovani coppie. Tutte politiche oggi estranee all’agenda di governo.

Accenno solo alle politiche per aiutare le coppie ad avere un figlio (in più). Oggi le coppie che più spesso hanno il primo o il secondo figlio non sono quelle tradizionali, con lui al lavoro e lei casalinga, ma le coppie in cui entrambi i partner lavorano stabilmente a tempo pieno, e dove lui e lei condividono il lavoro di cura. Se questo secondo aspetto è legato in gran parte a cambiamenti culturali, peraltro in atto nelle giovani generazioni, il primo dipende piuttosto dall’andamento economico generale del paese. Non è un caso se in Italia, da trent’anni, la bassa fecondità si accompagni a una crescita economica bassa o nulla, e che le provincie più feconde siano anche le più ricche, con il Mezzogiorno fanalino di coda sia per il reddito sia per la fecondità. La denatalità non è un destino: gli italiani i figli li vorrebbero avere. Ma senza uno sviluppo duraturo e profonde riforme delle retribuzioni e del mercato degli alloggi i desideri si trasformeranno in rimpianti.

Giampiero Dalla Zuanna

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