«Sin dai primi accertamenti, sono emersi indizi precisi e concordanti per ritenere che i valori sottesi ai trasferimenti in questione non siano stati oggetto di una fisiologica trattativa di mercato ma che si sia di fronte a operazioni sganciate da valori reali di mercato, preordinate ed attestanti ricavi meramente “contabili”, in ultima istanza fittizi». Questo è il cuore della motivazione del decreto, con cui la procura della Repubblica di Torino ha disposto una perquisizione a carico di alcuni dirigenti della Juventus.

Il meccanismo illecito ipotizzato è semplice. Se il giocatore x, acquistato per 10 euro viene poi rivenduto per 1000 euro, sarà possibile portare in bilancio un guadagno (la cosiddetta “plusvalenza”) di 990 euro. Ma se non li vale e vi è l’urgenza di nascondere che il bilancio è in perdita? Si trova un’altra squadra che ha anch’essa la necessità di far figurare un guadagno e che ha un giocatore che vale 10euro. I due giocatori vengono scambiati alla pari e, perciò, senza movimenti finanziari e negli atti si afferma che il loro valore è per ognuno di 1000 euro. Ciascuna delle due squadre porterà in bilancio un guadagno di 990 euro, in quanto il cartellino del giocatore acquisito viene iscritto in bilancio per il valore di acquisto e sarà oggetto di un ammortamento, e perciò di un abbattimento di valore, diluito nel tempo di durata del contratto. In questo modo il bilancio delle due società di calcio ha un evidente, seppure fittizio, miglioramento.

Si chiamano “operazioni a specchio” e sono, insieme ad altri analoghi artifici, da tempo nel mirino della Covisoc, l’organismo deputato dalla Figc a controllare i bilanci delle società di calcio professionistico. Ma, a parte quanto avvenuto in una vicenda che ha visto coinvolte le società del Chievo e del Cesena e che registrava la presenza agli atti di inequivocabili intercettazioni telefoniche, la Giustizia sportiva si è sempre fermata di fronte all’obiezione che non sarebbe possibile dare una valutazione economica obiettiva del cartellino di un calciatore e che, comunque, potrebbe anche trattarsi di fisiologici errori di mercato. Oggi, alla Juve è contestata la falsa appostazione in bilancio di ben 282 milioni, relativi a operazioni compiute negli ultimi tre anni. Si tratta di una cifra di entità tale da non poter essere mimetizzata nell’incerto andamento del mercato dei cartellini dei giocatori. Al di là della specifica vicenda oggetto dell’indagine condotta dalla procura di Torino, vi sono alcune considerazioni di carattere generale che occorre svolgere.

La prima è che la Juventus, spesso dominatrice del campionato italiano, è sovente coinvolta in vicende che interessano la giustizia penale. Nell’aprile di quest’anno si è chiusa l’istruttoria della procura della Repubblica di Perugia sul caso dell’esame farsa del calciatore uruguaiano Luis Alberto Suarez. Nel 2017 è sorto il problema dell’esistenza di rapporti tra alcuni dirigenti ed esponenti del tifo organizzato legati alla ‘ndrangheta. Si tratta della Juventus rifondata, dopo essere stata protagonista dello scandalo che nel 2005 ha travolto il calcio italiano. Se la “disinvoltura” contestata dalla procura di Torino vi è stata, essa appare poi ancora più grave, ove si consideri che la Juventus è una società quotata, come tale tenuta in modo stringente al rispetto delle regole di trasparenza e correttezza. Di fronte a tutto questo, diventa inevitabile porsi due domande. La prima è se le vicende poco chiare che vedono il coinvolgimento del club bianconero non siano altro che lo specchio di una condotta poco chiara anche sul piano sportivo, atteso che molto spesso avversari e commentatori sportivi hanno lamentato inammissibili distorsioni arbitrali a favore di quel club.

La seconda domanda riguarda il mondo del calcio nel suo insieme. Già la circostanza che una squadra, su cui si addensano tanti dubbi, abbia potuto svolgere un ruolo egemone nel calcio italiano fa sorgere il problema di quale sia l’effettivo livello di trasparenza e di correttezza di questo mondo. Ora che si è mossa la procura della Repubblica di Torino, tutti grideranno allo scandalo e chiederanno pulizia. E sarà, ancora una volta, l’ennesima manifestazione di ipocrisia. Questo perché il ricorso alle operazioni a specchio o simili per risanare fittiziamente i bilanci è fatto da tempo notorio, perché le operazioni oggi oggetto di indagine erano chiacchierate già da tempo, perché, mentre sui pretesi torti sportivi subiti si sono spesso levate le voci delle altre squadre e dei commentatori, sul tema della trasparenza economica e della correttezza dei bilanci, salvo rarissime eccezioni, vi è sempre stato il più rigoroso silenzio. Circostanza, quest’ultima, che induce a sua volta a una ulteriore riflessione. Tanto silenzio non è forse dovuto alla circostanza che così fan tutti, o quasi tutti?

Del resto, le operazioni a specchio richiedono, necessariamente, un accordo illecito con la controparte. Va aggiunto che la Covisoc ha acceso i fari anche su alcune operazioni di altre società di calcio della serie A. Diventa, allora, inevitabile riflettere su come sia possibile che una pratica illecita, come quella delle plusvalenze fittizie, sia così diffusa nel mondo del calcio. Vi è una sensazione largamente avvertita. Quella secondo cui il calcio viva in una bolla separata dalla realtà, nella quale i metri di valutazione delle condotte sono totalmente diversi da quelli che si applicano ai normali cittadini. Questo si spiegherebbe con il fatto che in una società, in cui non vi è più spazio per eroi e leggende, il calcio sarebbe oggetto di idolatria. E come tale trasferito in un altrove dove valgono regole diverse. Del resto, le cronache hanno spesso raccontato di imprenditori, che, in passato, hanno acquistato una società di calcio per conseguire una sorta di immunità per meriti sportivi.

Ma non è più così. Basta considerare che all’entusiasmo, che ha fatto seguito alla vittoria ai campionati europei, si è sostituita una assai diffusa indifferenza di fronte alla mancata qualificazione diretta della nazionale ai prossimi campionati del mondo. Prima vi sono state le crisi del 2008 e del 2011. Oggi, poi, la pandemia. La durezza delle conseguenze, che moltissimi hanno dovuto sopportare, ha, tra le altre cose, tolto la disponibilità a tollerare eccessi e sgrammaticature. Chi ha dovuto subire la chiusura del proprio piccolo negozio o il licenziamento conseguente a una delocalizzazione e anche chi, senza subire direttamente, ha visto la sofferenza degli altri vicino a sé, inevitabilmente sente come un’offesa la possibilità dell’esistenza di una zona franca, senza regole. La avverte come una realtà posticcia, come tale immeritevole di sostegno e di attenzione. L’auspicio è che chi governa il calcio se ne renda conto, prima che il distacco dalla collettività diventi incolmabile.