Pm stufi di Davigo: la sua corrente (Autonomia e indipendenza) esce a pezzi dalle elezioni nei Consigli giudiziari

Il primo effetto del Palamaragate? La sconfitta dei giustizialisti in toga. Ad iniziare da Piercamillo Davigo. La nemesi si è consumata questo fine settimana con le elezioni per il rinnovo della componente togata all’interno dei Consigli giudiziari, le “propaggini” del Csm nei vari distretti di Corte d’Appello. Elezioni poco pubblicizzate sui media ma importantissime in quanto i Consigli giudiziari si occupano di redigere i pareri per le valutazioni di professionalità, di mettere il visto sulle domande di tramutamento, di valutare i profili disciplinari dei magistrati. Il Csm, ad esempio, quando si tratta di nominare un magistrato per un incarico direttivo, fa molto affidamento su cosa è stato scritto nei suoi confronti dal Consiglio giudiziario di appartenenza. Le elezioni per il rinnovo dei Consigli giudiziari, dopo lo tsunami che aveva travolto la magistratura lo scorso anno, avrebbero dovuto “premiare” le correnti che denunciarono indignate quanto accaduto all’hotel Champagne di Roma.

Per descrivere il celebre incontro al quale aveva partecipato l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, cinque consiglieri del Csm e i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti, venne scomodata addirittura la loggia P2 di Licio Gelli. Il risultato delle elezioni ha, però, deluso le aspettative della vigilia, segno evidente che molti magistrati non si sono fatti condizionare dalla campagna di stampa, con scientifica diffusione di intercettazioni, che cavalcò nel 2019 lo scandalo. Alcune di queste intercettazioni, poi, si rivelarono dei tarocchi, come nel caso della frase di Luca Lotti, “ragazzi si vira su Viola”, a proposito di Marcello Viola, procuratore generale di Firenze all’epoca candidato per la Procura di Roma, mai pronunciata dal politico toscano. Un “errore” di trascrizione da parte del Gico della guardia di finanza che bruciò la nomina di Viola, spalancando le porte a Michele Prestipino, fedelissimo di Giuseppe Pignatone.

La corrente di Davigo, Autonomia e indipendenza, è uscita a pezzi dalla tornata elettorale. Alcuni dati fotografano la disfatta. Nel distretto di Milano, quello che, con l’inchiesta Mani pulite, ha reso celebre Davigo, solo 89 giudici su 624 hanno votato i candidati davighiani. In Corte di Cassazione, l’ultima sede di servizio di Davigo come presidente di sezione, i voti sono stati 32 su 331. Nel distretto di Roma, il più importante e dove si è consumato il Palamaragate, su 716 votanti, le preferenze ai davighiani sono state 37. A Firenze, infine, A&I non è pervenuta: zero i voti. Erano stati 50 alle passate elezioni. Numeri bassissimi se rapportati alle forza che ha adesso la corrente di Davigo all’interno del Csm dopo le dimissioni dei cinque togati dell’hotel Champagne: cinque componenti, considerando anche il pm antimafia Nino Di Matteo eletto come indipendente nelle liste di A&I, su sedici complessivi.

L’attuale compagine del Csm, che non riflette la volontà degli elettori, deciderà comunque le nomine nei prossimi due anni.
I davighiani arrivavano a queste elezioni con il vento in poppa: furono loro a chiedere, dopo l’esplosione del Palamaragate, la testa del presidente dell’Anm Pasquale Grasso che aveva come unica colpa quella di essere esponente di Magistratura indipendente, la corrente di tre dei cinque togati dello Champagne. Grande nervosismo viene segnalato da parte degli sconfitti. Un deja-vu di quanto accaduto lo scorso quando venne eletto Antonio D’Amato, esponente di Magistratura indipendente, al Csm. «L’esito delle votazioni restituisce un’immagine della magistratura in cui una parte degli elettori continua a non volersi affrancare dalle vecchie logiche clientelari», dissero gli avversari. Davigo, però, può consolarsi con la campagna pancia a terra che sta portando avanti da settimane il Fatto Quotidiano per scongiurare il pericolo che il prossimo 20 ottobre, al compimento dei settant’anni, debba lasciare il Csm.

Ieri è stato il turno di Antonio Esposito, presidente del collegio di Cassazione che condannò Silvio Berlusconi e da tempo editorialista del quotidiano di Marco Travaglio. Il giorno prima analogo compito era toccato al togato Giuseppe Marra, davighiano della prima ora.  «Sono sicuro che ne uscirai presto a testa alta», scrisse Marra a Palamara, il giorno che i giornali diedero la notizia dell’indagine nei suoi confronti. Non è stato, a posteriori, un messaggio di buon auspicio dal momento che domani Palamara sarà espulso dalla magistratura dalla disciplinare del Csm dove siede proprio Davigo.