Parla l’ex sottosegretario alla Presidenza
“Pnrr a rischio, ecco gli errori fatti dal governo”, intervista a Bruno Tabacci
Bruno Tabacci, l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Mario Draghi, oggi deputato per il Pd, lancia il suo allarme sul Pnrr di cui è stato di fatto l’alfiere per Palazzo Chigi. Si continua a parlare di slittamenti e di ridefinizione dei progetti in corsa, ma nessun soggetto istituzionale viene convocato, come ha fatto notare ieri anche Stefano Bonaccini.
Tutto il vostro lavoro sul Pnrr è ora nelle mani di Giorgia Meloni, come giudica la premier?
Certo non ha avuto fortuna ad arrivare a Palazzo Chigi dopo Draghi. Il confronto quanto a stile e autorevolezza mi sembra impietoso. Detto questo, è una donna politicamente capace, ha una lunghissima esperienza di opposizione nel suo curriculum e pure una breve parentesi da ministro delle Politiche giovanili. Ora si tratta di vedere se è davvero pronta come diceva per un ruolo completamente diverso.
È vero che Meloni aveva sperato di godere dell’appoggio e dei consigli di Mario Draghi?
Mario Draghi dopo l’esito elettorale e l’incarico all’onorevole Meloni ha continuato a servire il suo Paese creando, lontano dalle luci della ribalta, le condizioni per un passaggio di consegne a Palazzo Chigi costruttivo ed esemplare sul piano istituzionale. E non ha reagito finora a qualche polemica strumentale sull’attuazione del Pnrr, cinque mesi dopo l’insediamento del nuovo governo.
Finora non ha reagito ma potrebbe far sentire la sua voce, se insistono?
Le ripeto: fino a questo momento ha fatto prevalere il suo stile, rimanendo in disparte e non rispondendo a maggioranza e governo.
Governo che mostra tutte le sue difficoltà nel tenere una direzione stabile…
Il governo di un Paese complesso come l’Italia potrebbe rivelarsi impresa molto difficile anche per lei che pure ha ricevuto il 25 settembre un consenso molto rilevante, al netto di un astensionismo in continua crescita che segnala la distanza di un numero sempre più rilevante di italiani dai partiti di questo tempo.
E i suoi? Il presidente del senato, i suoi ministri, i sottosegretari?
Il presidente del Senato e i ministri di Fratelli d’Italia, salvo qualche eccezione, fanno rimpiangere la svolta compiuta da Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini. Sono degli avventurosi reazionari che vorrebbero riscrivere con una certa arroganza la storia dell’Italia Repubblicana. Sulla sua natura basterebbe rileggere i testi di Luigi Sturzo e di Alcide De Gasperi. E poi consiglio loro di non usare strumentalmente il nome di Enrico Mattei, uno dei capi della Resistenza.
E non sono mancati gli affondi sul piano dei diritti.
Mi lasci dire che ho trovato volgare l’attacco al Partito Democratico sul caso Cospito: chi governa dovrebbe avvertire su di sé la maggiore responsabilità che gli deriva dal ruolo. Ora li vedremo alla prova del 25 aprile, che alcuni di loro non considerano la festa della Liberazione dal nazifascismo.
Le difficoltà sul Pnrr da cosa derivano?
Questo governo ha compiuto fin dai primissimi mesi di attività alcuni passi falsi a cui spero trovi rimedio rapidamente. Lo richiedono i tempi stessi del Piano. Il mutamento della governance del Pnrr ancora sotto il giudizio della Commissione. La duplicazione del coordinamento tra Mef e Palazzo Chigi. L’incertezza sul cammino delle riforme con l’esemplare doppiezza sui balneari. Il difficile rapporto con l’Europa come rilevato dal Commissario Gentiloni e in ultimo, ma non meno importante, la mancata ratifica del Mes che blocca in una fase delicata lo stesso completamento dell’Unione bancaria.
Qual è il primo punto secondo lei da affrontare?
Rispettare il 31 dicembre 2026 e stringere sulla capacità di spesa della macchina pubblica: dal Governo alle Regioni, ai Comuni. Il Pnrr opera con un timing molto diverso dall’uso disinvolto che l’Italia ha fatto in questi anni dei fondi strutturali. Mi spiace dovermi citare ma nel corso della campagna elettorale, la scorsa estate, di fronte alla miriade di promesse di tutti i partiti ho spesso ricordato che chiunque avesse vinto avrebbe avuto l’onere e l’onore di dover realizzare un solo grande compito che avrebbe impegnato di fatto l’intera legislatura: il Pnrr appunto. Sono passati cinque mesi dalla nascita del governo e mi pare importante che finalmente premier e maggioranza se ne siano resi conto.
Una riforma della giustizia penale e amministrativa va fatta con urgenza?
Certo che va fatta. Ma con l’equilibrio necessario e senza fare confusione nella ripartizione dei poteri. Non può essere la resa dei conti con i magistrati, il cui ruolo va salvaguardato. Alcune incertezze del ministro Nordio, la cui competenza è fuori discussione, mi hanno lasciato perplesso.
L’Europa segue con preoccupazione la gestione italiana del Pnrr. E però senza una sua rifondazione politica rischia di rimanere una ulteriore burocrazia.
L’Europa è la nostra speranza. Considerarla matrigna è senza senso. Casomai è necessario spingere per il suo completamento politico in senso federale. Anche l’invasione dell’Ucraina rappresenta, per quanto drammatica, l’occasione per far fare all’Europa un ulteriore salto istituzionale. E senza l’Italia l’Europa non lo può fare. L’esempio è quello dei padri fondatori e per l’Italia Alcide De Gasperi.
Che succede se saltano una gran parte dei progetti presentati?
Come ha detto Mattarella nel recente richiamo a mettersi alla stanga, non vi può essere una ipotesi di non realizzazione dei progetti presentati. Sarebbe dare ragione a quei Paesi frugali che hanno subìto il Next Generation Eu e tornerebbero volentieri indietro. Mentre questa modalità deve diventare la regola, con lo strumento del debito comune strutturale e con entrate proprie dell’Europa.
Se non riusciranno, diranno “colpa di chi ci ha preceduti”. Giochiamo in anticipo, cosa risponderebbe?
Lo “scaricabarile” sarebbe un gesto di grave autolesionismo, il suicidio più evidente anche rispetto all’Europa che considera Mario Draghi ancora una opportunità straordinaria per l’Italia e l’Europa stessa. Sconsiglio di sottovalutare il peso politico e sul fronte dei mercati di chi, limitandosi a pronunciare poche parole, ha salvato l’euro.
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