"Non ce la facciamo"
Pnrr bocciato, Meloni fa scaricabarile su Draghi: “È tutta colpa dell’ex premier”
Lo scaricabarile è già iniziato. Il “barile” si chiama Pnrr, quei 220 miliardi che la Commissione europea ha assegnato all’Italia (122 a debito, 98 a fondo perduto) per ripartire dopo lo choc pandemico. Il problema è che il governo ha ufficializzato che così com’è – con queste date e questi progetti – “non ce la facciamo” come ha ripetuto anche ieri a Bruxelles Raffaele Fitto, il ministro che ha la delega sul Pnrr.
Quel “non ce la facciamo” è una responsabilità che il governo però non vuole. Anche se va detto che Giorgia Meloni non ancora premier già metteva le mani avanti: «Non riusciamo a spendere i soldi». Era la fine di settembre dell’anno scorso, sei mesi fa. E nulla, a quanto pare, è cambiato. Anzi: aver cambiato la governance del Piano non ha certamente aiutato a correre. Da qui lo scaricabarile ieri alla Camera a margine del question time con tre ministri, Salvini, Nordio e Calderone, tutti coinvolti nelle riforme e nei progetti del Pnrr. Soprattutto Salvini: il vicepremier, segretario della Lega e ministro delle Infrastrutture si trova a giocare un ruolo centrale in questa fase. Cosa di cui probabilmente Giorgia Meloni non sarà così soddisfatta. Martedì sera, dopo il Consiglio dei ministri, Fitto e Salvini si sono chiusi in una stanza fino alle dieci di sera. Per vedere come uscire da questo brutto angolo.
Lo scaricabarile, si diceva. Per qualcuno, soprattutto Fratelli d’Italia, la colpa risale al governo Conte 2. «S’è vantato di aver portato tanti soldi all’Italia, peccato che dare 220 miliardi all’Italia con l’obbligo di spenderli in quattro anni e con precisi paletti è come chiedere a uno che gioca nei dilettanti di diventare Messi». Il partito della Meloni è sempre stato all’opposizione e ha gioco facile. C’è chi prova a puntare il dito sul governo Draghi, anche se ne faceva parte, come la Lega. «Abbiamo perso tempo nel primo anno e mezzo in cui dovevamo lavorare a testa bassa su personale e competenze. Adesso è inutile illudersi: il Sud non è più in grado di recuperare». La soluzione? «Ricentralizzare i fondi e destinarli solo alle grandi opere, ponti, ferrovie, strade, digitale». Anche Palazzo Chigi è andato dritto sul governo Draghi. «I progetti bocciati (gli stadi a Firenze e Venezia nell’ambito dei Piani urbani integrati, le concessioni portuali e le reti di teleriscaldamento, ndr) sono procedure che risalgono al governo Draghi». Della serie: noi, che siamo arrivati dopo, non c’entriamo nulla.
Le questioni sono tre: la prima riguarda i 55 obiettivi al 31 dicembre del 2022 per ottenere la rata dei 19 miliardi che Bruxelles ha bloccato chiedendo approndimenti; la seconda riguarda i 29 obiettivi di questo semestre su cui siamo molto indietro e, più in generale, la realizzazione delle opere e delle riforme di sistema – semplificazioni, giustizia, appalti, concorrenza – su cui siamo ancora indietro. Il potere di interdizione delle lobby ha sempre la meglio. Anche martedì, il nuovo disegno di legge sulla concorrenza è stato analizzato ma non approvato. A Fratelli d’Italia non convince la parte degli ambulanti (per cui sono previste le gare per l’assegnazione degli spazi), scontro in maggioranza anche sui saldi, liberalizzarli – come vorrebbe l’Europa – oppure no. Nell’incertezza, tutto fermo. Il ministro Adolfo Urso ha rassicurato che “la situazione sarà presto sbloccata”. Bisogna vedere se l’ennesimo compromesso sarà sufficiente per la commissione che deve verificare la congruità degli obiettivi raggiunti.
La terza questione l’ha messa sul tavolo la Corte dei conti: la magistratura contabile ha bocciato il governo che finora è riuscito a spendere il 20%, circa venti miliardi, delle risorse disponibili. Ieri il ministro Fitto era a Bruxelles dove, pur confermando la criticità della situazione, ha cercato di leggerla senza allarmismi e con responsabilità. Sulla rata da 19 miliardi bloccata (secondo semestre 2022) confida nel mese di proroga ottenuto “per trovare le soluzioni insieme con la Commissione”. Per il presente e il futuro «è evidente che alcuni progetti non si possono realizzare. Credo sia più giusto denunciarlo adesso e trovare insieme una soluzione anziché farlo tra un po’ quando sarà troppo tardi per trovare soluzioni». Il governo italiano sta facendo un “lavoro di ricomposizione” del Pnrr, una riscrittura, “una bonifica” su cui “troveremo l’intesa con la Commissione europea”. E’ chiaro che in questo modo ci andrà a rimettere soprattutto il sud.
Il Pnrr è e sarà, purtroppo, la barricata dove si consumerà nei prossimi mesi lo scontro tra maggioranza ed opposizione. Tra Nord e Sud. Il sindaco di Milano Beppe Sala ieri – e non era la prima volta – ha fatto sapere che «anziché perdere i soldi, conviene assegnarli a chi può e sa spenderli». Il governatore della Calabria Roberto Occhiuto (Forza Italia) è già pronto a fare le barricate: «L’Europa ha assegnato tutti quei soldi all’Italia per realizzare la coesione tra Nord e Sud. Guai a fallire». Il Terzo Polo, che batte da tempo sulla criticità della messa a terra delle opere, continua a fare proposte per aprire i cantieri e realizzare le opere. Al sud come al nord.
Certo il nuovo codice degli appalti che Salvini ha già ribattezzato col suo nome e che è un milestone del Pnrr, non aiuta. «Anzi – ha spiegato Raffaella Paita – complica ancora di più». Il Pd andrà in piazza sabato con i sindacati che sono contro il nuovo codice degli appalti perché, invece, apre la strada alla liberalizzazione degli appalti (senza gara fino a 150 mila euro) e alla criminalità. Punto su cui concorda anche l’Autorità anticorruzione. Il Pnrr è già territorio di scontro politico. E così perderemo tutti.
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