L ’economia italiana, è noto, ha una struttura dualistica a causa di profonde divergenze di sviluppo territoriale tra le regioni. Il divario economico e sociale tra le due macroaree non ha eguali nell’Unione Europea: se si fa riferimento al tasso di occupazione delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni, un indice significativo del livello di sviluppo territoriale, la provincia di Bolzano ha raggiunto nel 2022 il 70,7%, un dato superiore alla media UE (pari al 68,4%, con la regione finlandese dell’Aland che registra il tasso più alto con l’83,5%), mentre la Sicilia con il 41,1% rivela il dato peggiore, seguita dalla Campania (41,3%, con un dato inferiore addirittura alla Guyana, regione d’oltremare francese, che registra il 41,4%).

La Calabria è al 42% e la Puglia al 46,7%. Il Nord Ovest, ha un tasso di occupazione del 65,9% e il Nord Est del 67,2%, vicini alla media UE, mentre il Sud registra almeno 20 punti di occupazione in meno (45,2%). La Grecia, che ha un tasso di occupazione più basso di quello medio italiano (57,2%, il peggiore in UE), presenta minori differenze regionali in quanto l’area meno sviluppata raggiunge un tasso di occupazione del 50,7%. Il basso tasso di occupazione meridionale è il prodotto della debolezza del suo sistema produttivo, di carenze delle infrastrutture e dei servizi pubblici che, insieme alla presenza dei fenomeni criminali, sono i fattori che hanno ostacolato negli ultimi trenta anni lo sviluppo economico delle regioni meridionali. La crisi sanitaria Covid 19 e le conseguenti oscillazioni congiunturali, che hanno caratterizzato il biennio 2020-21, hanno rappresentato un ulteriore shock per l’economia meridionale che non aveva ancora completamente recuperato il livello del PIL pre-crisi 2008.

In questo drammatico contesto, la proposta del Governo italiano di assegnare alle regioni del Mezzogiorno non meno del 40% degli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stata accolta dalla Commissione Europea, che ha posto l’obiettivo di riduzione dei divari territoriali al centro delle politiche di rilancio. Il PNRR è stato quindi varato con un vincolo normativo concernente la “Quota Mezzogiorno” (decreto legge n.77/2021) e al Dipartimento per le Politiche di Coesione è stato assegnato il compito di verificare periodicamente il rispetto delle quote assegnate alle regioni meridionali (pari a 86,4 miliardi di euro, al netto della quota cofinanziata). I risultati del secondo monitoraggio, diffusi il 10 ottobre scorso, rivelano tuttavia alcune criticità. Nel complesso la quota di risorse PNRR assegnata al Mezzogiorno, fino giugno 2022, corrisponde al 41% del totale, ed appare quindi mediamente rispettata.

Tuttavia la legge stabilisce che la quota deve essere raggiunta non solo nel complesso, ma per ogni singola organizzazione titolare di misure, e 9 su 22 enti non hanno rispettato il vincolo della Quota Mezzogiorno. In particolare il Ministero dello Sviluppo Economico ha destinato il 24,5% al Mezzogiorno (4,495 miliardi su 18,117 totali), preceduto dal Ministero del Turismo con il 28,6% (654 milioni su 1,786 miliardi). I ministeri della Cultura, del Lavoro e della Transizione Ecologica hanno riservato tra il 38% e il 39%, non raggiungendo per poco l’obiettivo. É inutile sottolineare che i due ministeri che hanno destinato minori risorse al Mezzogiorno (e sono quelli più importanti per una politica di sviluppo) sono stati diretti da esponenti della Lega, ma sarebbe troppo facile imputare la responsabilità a questioni ideologiche (che pure sono presenti): i fattori strutturali spiegano in gran parte questo mancato adempimento.

Sulle risorse messe a disposizione dal Ministero dello Sviluppo Economico pesano le difficoltà delle imprese meridionali a richiedere i crediti d’imposta previsti dal programma Transizione 4.0, diretto a supportare e incentivare le imprese che introducono innovazioni, investendo in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi. Evidentemente il nanismo e l’arretratezza delle imprese meridionali giustifica questo risultato negativo. Un’altra difficoltà oggettiva è data dalle procedure amministrative, attuate con bandi, emanati direttamente dai ministeri, e che riguardano il 55% dei fondi destinati al Sud, pari a circa 47 miliardi di euro. Imprese e amministrazioni locali meridionali non sono state in grado di partecipare a queste procedure e di proporre progetti in grado di risultare idonei e finanziabili, non solo per la carenza di competenze burocratiche, ma anche perché incapaci di far fronte alla quota di cofinanziamento prevista.

É chiaro che il modello di governance scelto dal governo Draghi, basato sul ruolo politico dei ministeri e senza prevedere vincoli stringenti di salvaguardia della quota, ha penalizzato il Mezzogiorno. In un contesto come quello italiano, una governance basata su un modello di Steering Committee, con una struttura di pianificazione ad hoc (come l’Haut-Commissariat au Plan francese), affidata ad un solo ministero, avrebbe potuto operare meglio, individuando direttamente gli assi strategici di intervento e superando le strozzature e le inefficienze di amministrazioni e imprese locali. Vedremo se il nuovo governo nell’ambito della dichiarata ricontrattazione del PNRR modificherà anche il modello di governance in direzione di una auspicabile maggiore centralizzazione.