Poche startup e un grande digital divide: in Italia nessuna rivoluzione tecnologica

Il mondo avanza ad una velocità maggiore di quanto ci rendiamo conto, e ancor più rispetto ai tempi di una politica che non capisce e fa finta di niente. L’innovazione è il più grande fattore di sviluppo e crescita del mondo, è ciò che ci salverà, ma va governata, incentivata e gestita, senza mettere la testa sotto la sabbia, lasciando che altri Paesi lo facciano meglio di noi, e guadagnandone più di noi in posti di lavoro e ricchezza. L’evoluzione straordinaria dell’intelligenza artificiale, la sempre maggiore digitalizzazione, le biotecnologie, la genomica, la cyber security e lo stravolgimento dei processi produttivi sono già parte della nostra quotidianità, e la cambieranno radicalmente, piaccia o no (a mio avviso in meglio). Stiamo assistendo alla rivoluzione industriale più repentina dell’antropocene e forse non siamo realmente pronti. Rischiamo di vivere anni in cui disoccupazione riesploderebbe, o forse no. Io sono uno di quelli che ama vedere le grandiose opportunità di sviluppo offerte dall’avanzare della tecnologia, per la crescita delle imprese e per il miglioramento continuo della vita sul nostro Pianeta.

Cruciale sarà, soprattutto, l’aiuto che l’intelligenza artificiale ci darà nel combattere la più grande sfida del nostro secolo, ovvero salvare il pianeta e permettere all’umanità di viverci bene, il maggior numero di persone possibile, ancora a lungo. Se c’è qualcosa che salverà la Terra dal riscaldamento e dai disastri che questo comporterà, dall’inquinamento, dalla perdita di biodiversità, dall’impoverimento di centinaia di milioni di persone, saranno le scoperte tecnologiche, guidate dagli esseri umani spinti da sacro fuoco dell’innovazione e del fare impresa.

Purtroppo se guardiamo all’Italia, sappiamo che partiamo da un digital divide spaventoso. Digital Economy and Society Index segnala che l’Italia è tra i paesi meno digitalizzati d’Europa, al 17° posto sulla connettività. Sull’integrazione tecnologica siamo al 22° posto su 28 Stati. Inoltre, anche i dati Eurostat sui nostri giovani parlano chiaro. Siamo un Paese con oltre due milioni e mezzo di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano. Siamo uno dei paesi europei con il maggior numero di abbandono degli studi e abbiamo una percentuale bassa di persone che raggiungo la laurea. Sottolineo questi dati sui giovani perché la correlazione tra diffusione del digitale, creazione di innovazione e lavoro giovanile è importantissima. Tutto questo, viste le azioni messe in atto sinora, pare non interessi all’attuale Governo. Per mancanza di volontà politica, o per dare priorità ad altro, dalle azioni di questo primo anno di governo sembra che non vi sia urgenza alcuna nel far progredire l’Italia nell’attrazione di investimenti esteri in startup e venture capital, in leggi che possano ridurre la burocrazia e rendere più facile fare impresa, in incentivi che spingano i risparmiatori ad investire i propri capitali in innovazione. E, da ultimo, si sta perdendo l’opportunità di utilizzare le risorse inserite nel PNRR per spingere l’innovazione nel nostro Paese.

Negli ultimi anni l’attrazione di investimenti finalizzati alle startup, principale motore dell’innovazione, attraverso prevalentemente il venture capital, è aumentata anno dopo anno. Il 2022 è stato un anno d’oro per il venture capital italiano, con numeri record: +46%, con investimenti a quota 1,6 miliardi di euro, secondo anno consecutivo con finanziamenti sopra il miliardo. Risultati di grande valore, in crescita costante dal primo Startup Act voluto dal ministro Corrado Passera nel 2012, anche grazie al lavoro svolto negli anni scorsi in Parlamento, a partire dalla costituzione di CDP Venture Capital che con una dotazione importante ha permesso a tantissime startup di nascere, crescere, moltiplicare fatturato e valore, e a tanti nuovi fondi di nascere ed investire nel nostro ecosistema. Il 2023, come in tutto il mondo, a causa della grande incertezza sui mercati, del rialzo dei tassi, dell’inflazione, di alcuni cambiamenti radicali nel mondo degli investimenti in capitali di rischio ha visto però un rallentamento della corsa in Italia, così come in gran parte d’Europa. L’Italia, comunque, con un peso di appena il 2%, ricopre ancora un ruolo marginale nel panorama europeo, a lunga distanza da Regno Unito, Francia e Germania. Siamo la terza economia europea, il secondo paese esportatore, ma solo la decima nazione in quanto ad investimenti in nuove aziende in Europa. Nel mondo globale del XXI Secolo è il maggior fattore di sviluppo economico, e l’attrazione di investimenti per la creazione di nuove aziende è il maggior fattore di innovazione. In questo, nel saper attrarre la grande finanza e di utilizzarla per creare ambiziosi piani scalabili a livello globale, siamo colpevolmente molto indietro, ma non lo siamo nell’ingegneria, nella tecnologia, nella capacità di fare impresa, nella creatività e nel design. È necessario che nella cultura di governa si comprenda una cosa: le nuove imprese innovative rappresentano la chiave di sviluppo italiana.

Fare impresa da zero, creare startup, non è un giochino per fare i fighi o un ripiego per chi non sa che lavoro fare, ma è la base della distruzione creatrice dell’economia, dello sviluppo delle nazioni, come le principali economie del mondo dimostrano. Innovazione e formazione sono tra l’altro i più importanti fattori di promozione di inclusione e pari opportunità, in cui l’Italia ha bisogno di fare grandi passi in avanti, sia in termini di lavoro femminile e giovanile che di rapporti tra le diverse aree del Paese. Invitiamo questo Governo, in colpevole ritardo, a fare tutto il possibile per dare un’ulteriore fiammata di crescita all’ecosistema degli investimenti e dell’innovazione italiana, facendo capire, con i fatti, al mondo che questo è un Paese dove chi investe per creare e far crescere una nuova impresa trova uno Stato che gli sta di fianco, lo agevola e lo incentiva. Bisogna spingere sempre di più fondi pensione, fondi assicurativi e casse previdenziali ad investire in fondi di venture capital e fondi di fondi, così come è necessario prevedere incentivi per attrarre investimenti di grandi fondi internazionali che possano così portare capitale aggiuntivo ma soprattutto competenze e relazioni internazionali necessarie a far crescere le nostre imprese nel mondo.

È necessario fare tutto il possibile per non perdere le opportunità date dal PNRR, che sarebbe uno scandalo non utilizzare per migliorare la digitalizzazione del nostro Paese ed attrarre investimenti aggiuntivi nei settori in cui si giocherà lo sviluppo del prossimo decennio. Perché mentre noi guardiamo soddisfatti ai risultati degli ultimi anni il mondo corre, e non possiamo perdere i treni di questa generazione, avendone purtroppo già persi altri.