«La depenalizzazione del 2016 ha esaurito i suoi effetti deflattivi, per la verità assai contenuti, e l’istituto della messa alla prova trova allo stato applicazione limitata e con coinvolgimento quasi totale di istituzioni caritatevoli e religiose», si legge nell’ultima relazione annuale sullo stato della giustizia a Napoli stilata dai vertici degli uffici giudiziari. È uno dei passaggi con cui si tirano le somme di un anno di udienze e processi, sottolineando ancora una volta i limiti di un settore per il quale si attende da tempo una riforma che non arriva. La panoramica sulla giustizia penale a Napoli si sofferma in particolare, oltre che sulle carenze di organico, sui numeri dei processi che affollano le aule e appesantiscono i tribunali.

In generale, nell’ultimo anno si è registrato un aumento delle sopravvenienze, di nuovi procedimenti. L’incremento ha interessato la sezione Gip dove si è passati da 25.805 processi a 29.501, con un parallelo aumento delle definizioni salite da poco più di 25mila a quasi 29mila e con un totale, a inizio 2020, di 7.367 processi pendenti, cioè oltre 7mila casi in attesa di sentenza e solo in primo grado. Perché in Corte di Appello, dove confluiscono i processi che provengono in primo grado da vari tribunali del distretto e non soltanto da quello di Napoli, i numeri sono ancora più rilevanti e, a inizio 2020, la pendenza superava i 52mila processi con una sopravvenienza di 13.241 procedimenti. Cosa indicano questi numeri? Che la giustizia penale arranca trascinandosi un peso enorme.

E viene da chiedersi se si tratti di processi tutti necessari, se non ci sia tra queste migliaia e migliaia di procedimenti qualche caso che avrebbe potuto risolversi diversamente, magari con sanzioni amministrative o comunque con soluzioni alternative che non richiedano obbligatoriamente i tempi e le risorse di un’istruttoria penale. Difficile pensare che si tratti di casi giudiziari tutti inevitabili. I dati del bilancio della giustizia napoletana riportano anche un recente aumento di nuovi processi a carico di imputati ignoti (da 55.776 del 2018 a 57.958) e di procedimenti non ancora definiti, quindi pendenti, che a inizio 2020 raggiungevano il tetto di 29.097. Circa 30mila casi, dunque. Numeri importanti, troppo per continuare, tra l’altro a fronte di risorse e organici che si svuotano sempre di più, a non pensare a una soluzione concreta ed efficace. Spostando lo sguardo sul settore monocratico la situazione non varia di molto: si sono registrati un costante aumento delle sopravvenienze (15.552 casi) e un conseguente incremento delle pendenze finali (31.401 procedimenti).

Viceversa per i processi collegiali si è verificata una flessione delle sopravvenienze (da 724 a 680) e un aumento delle definizioni (da 651 a 709) con una riduzione della pendenza da 1.688 a 1.616 casi. Quanto ai processi in Corte di Assise, quindi per reati gravi come gli omicidi, il bilancio del 2019 si è chiuso con un numero maggiore di nuovi processi rispetto al passato (da 34 a 42 casi) e anche un crescente numero di sentenze (da 26 a 32), tuttavia si è registrato un aumento delle pendenze passate da 44 a 54 procedimenti. Infine, dinanzi al Riesame, il Tribunale che decide sulle misure cautelari personali e reali, si sono registrati 224 casi in più rispetto al passato.

Avatar photo

Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).