Alessandro Politi è da dodici anni direttore della Nato Defense College Foundation, centro studi strategici riconosciuto dal Comitato Militare Nato.

Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire e candidato alle Europee con il Pd dice che la Nato va sciolta.
«Il candidato esprime un’idea già proposta nel 1989. Con 32 membri dubito che si trovi il consenso per sciogliere e rinegoziare. Ovviamente parlo a titolo personale».
Serve ancora, l’Alleanza Atlantica?
«La Nato ha attraversato varie fasi, dalla guerra fredda al momento unipolare americano, dove ha ben servito nella gestione delle crisi. Oggi la Nato si trova per la seconda volta dopo la guerra fredda ad avere una guerra nel cuore dell’Europa: dopo l’ex Jugoslavia, l’Ucraina. Una guerra ad alta intensità con l’aggressione di uno Stato sull’altro. Però l’Europa in tutti questi anni è stata circondata da una cintura di fuoco di guerre. Lo abbiamo un po’ ignorato ed un po’ gestito alla meglio per diversi decenni».
Era invalsa la narrativa della pax perpetua. Il risveglio è duro.
«Abbiamo goduto di tre quarti di secolo di pace nel continente europeo e nella terraferma del continente americano. Solo che gli americani sono stati svegliati – molto brutalmente – l’11 settembre. L’Europa poi non è storicamente immune dalle guerre, tutt’altro: per cinquemila anni è stato un terreno dello scontro. Dopo due conflitti mondiali in cui gli europei si sono suicidati, hanno pensato che la guerra fosse altrove, e non alle porte di casa. Adesso sentiamo molto più vicino il rombo del cannone. Lo avevamo già sentito nell’ex Jugoslavia, ma molti avevano liquidato la faccenda come tribale e locale».

ALESSANDRO POLITI DIRETTORE NATO DEFENCE COLLEGE FOUNDATION

La Nato ha garantito 75 anni di pace in Europa, interrotta da un atto aggressivo di Putin. I pacifisti dovrebbero avercela con lui: dovrebbero essere anti-putiniani viscerali. Per quale straordinaria svista se la prendono con la Nato?
«I pacifisti hanno un riflesso: la paura della guerra. Abbiamo avuto imponenti movimenti pacifisti dopo la prima guerra mondiale. E la paura è sempre una cattiva consigliera. Si tratta di un movimento variegato: c’è chi è in buonissima fede e chi è strabico, o vede con un occhio solo. C’è il rischio, finora scongiurato, di una guerra generale. Ma dire che è la Nato che attizza il fuoco, questo non è vero».
Si fa molta disinformazione, intorno alla guerra.
«I pacifisti non sanno che la Nato in Ucraina manda solo mezzi non letali: razioni di cibo, carburante, scarponi, ecc. Chi manda le armi sono dei Paesi – alcuni dei quali non sono neanche membri Nato – che sono nel gruppo di contatto di Ramstein. Sono 47, una tipica coalizione ad hoc. L’invio delle armi è esclusivamente deciso dalle singole nazioni che si coordinano in questo gruppo. Per cui i pacifisti al momento sanno che: la Nato non pensa minimamente di inviare né armi, né soldati, né aerei in Ucraina. Come Nato non c’è consenso».

Anche perché la Nato decide all’unanimità.
«L’unanimità è il risultato di un voto. Invece il consenso Nato è un non dire no. Però se qualcuno dice no, come in questo caso, non si fa a livello di Nato».
Gli F-16 che stanno arrivando in Ucraina chi li ha mandati?
«Singoli paesi che si sono detti disponibili e lo hanno comunicato nel gruppo di contatto di Ramstein. Non certo la Nato. Domenico Quirico, ad esempio, prese un abbaglio quando fece un articolo sul fatto che l’esercito ucraino fosse vassallo della Nato, perché per discutere sulla controffensiva erano arrivati a Kiev un generale americano e un ammiraglio britannico. Infatti, sulle uniformi dei due alti ufficiali non c’era nessun simbolo Nato: erano stati mandati dai loro due Paesi, al di fuori della Nato».
Si ha la sensazione che tutti parlino di Nato ma pochi, pochissimi sappiano davvero cos’è e come funziona.
«E’ proprio come il “Libretto rosso” di Mao: tutti ne parlavano ma nessuno lo aveva letto».

Dicono che la Nato si allarga, che provoca la Russia estendendosi fino ai suoi confini. Ma la Nato è stata fondata con la Norvegia dentro sin dal primo giorno: a Nord confinava con l’Urss, oggi con la Russia…
«Possiamo dire di più: la Nato ha avuto confini con il Patto di Varsavia da quando è nata. In Germania, a Berlino le truppe Nato erano a pochi metri dagli avamposti non tedesco-orientali ma proprio sovietici. Putin ha la sua concezione degli spazi cuscinetto, ma non si può dire che sia una novità lo stretto contatto di confine con il Patto di Varsavia. È chiaro che un sistema di sicurezza europeo come quello che abbiamo immaginato a Pratica di Mare, aveva forse bisogno di qualche cautela in più. Questo ha senso. Chiaro che da quando è crollata l’Unione Sovietica, da quando Putin ha fatto quel suo discorso alla Munich Security Conference nel 2007, ne è passata di acqua sotto ai ponti. Ma, se possono esserci responsabilità da diversi lati, nessuno vuole tornare alla guerra fredda».
C’è un dialogo tra Usa e Russia, al di là delle schermaglie pubbliche?
«Più di quanto si pensi. Si parlano con discrezione. Mi ha molto colpito quando gli è arrivata l’allerta dei servizi americani sugli attentati, Putin poteva non parlarne pubblicamente. E quando Biden è andato a Kiev lo ha reso noto ai russi perché sospendessero i bombardamenti in quel frangente».
Macron dice che va autorizzata l’Ucraina a colpire la Russia, che partita sta conducendo?
«Una partita molto difficile perché la Francia è in una posizione complicata. E perché ha elezioni difficili alle porte. Contrariamente alle apparenze, Macron nei suoi discorsi – e in quello che viene fatto – è in linea di continuità con Sarkozy, che è stato il presidente francese che ha riportato pienamente la Francia nella Nato. Prima erano fuori dalla struttura militare integrata. Per Parigi una Nato forte deve avere un pilastro europeo forte».
Ieri Macron era in Germania. Quel pilastro europeo lo costruiscono loro due, insieme?
«Nelle intenzioni. Ma la Germania ha problemi interni di tenuta della linea, ha una coalizione di governo che non consente una coerenza progettuale come si vede dai tentennamenti continui che hanno sull’Ucraina».

Si votano le Europee tra dodici giorni, si parla di modello di difesa europeo senza averne un’idea chiara…
«Magari si parlasse di modelli di difesa. E magari gli europei avessero chiaro un modello di difesa comune, che non esiste. C’è una bussola strategica che però ha avuto il difetto di metabolizzare male gli eventi del 2022. A Bruxelles se la prendono comoda e la vorrebbero rivedere nel 2025, io penso che andrebbe rivista adesso. Non ci si può tenere un documento che è superato per metà».
Si parla molto della necessità di aumentare il budget per la difesa.
«La prima cosa che dovrebbero fare gli europei, se volessero cominciare a risolvere i loro problemi, è spendere meglio. Oggi abbiamo molti sistemi d’arma molto diversi anche se interoperabili: e quando l’Ucraina li impiega, emergono tutte le criticità. Bisogna standardizzare. Non possiamo avere dieci carri armati diversi, in Europa. Ne dobbiamo avere uno. Non possiamo avere due nuovi aerei da combattimento, ne dobbiamo avere uno. Se facessimo così avremmo produzioni migliori con costi più bassi. L’Europa senza il Regno Unito spende ancora il doppio di quanto spende la Russia in guerra. Sono soldi spesi male».

Questo implica una cabina di regia.
«Sì. Una espressione inflazionata dalla politica italiana, ma bisogna fare come con Schengen: partire in quattro, poi aprire. Se oggi nell’Ue l’Italia, la Francia, la Germania e la Spagna, che sono i paesi che contano militarmente di più, cominciassero a concordare programmi comuni, gli altri seguiranno. Ci vuole un gruppo di punta che prende decisioni e poi si apre, discute».
Stoltenberg a Sofia è tornato sui suoi passi, tornando indietro sull’impegno in Ucraina.
«Gli ambasciatori a contatto con il segretario generale hanno dato prova di un diffuso scetticismo sulle sue parole. Bisogna difendere l’Ucraina? Sì, è necessario. Bisogna disarmarci? No, non ha molto senso. Bisogna rischiare di entrare in guerra con la Russia? No, faremmo un danno doppio agli ucraini. Se facessimo dell’Ucraina la nuova Bosnia-Erzegovina del 1914 non faremmo un favore a quel paese».
L’ingresso dell’Ucraina nell’Ue è in agenda. Nella Nato, invece?
«Valutazione sospesa, per ovvi motivi. Non fattibilità. La prima cosa che va fatta, è un cessate il fuoco. Poi va fermata la guerra. E anche Putin sa che è nel suo interesse trattare, le crepe di potere nel suo sistema stanno continuando a correre. Basta vedere le purghe che sta facendo a partire dal ministero della Difesa. Un repulisti staliniano».
L’appuntamento in Svizzera è importante, può portare alla pace?
«La pace non la fanno solo i russi e gli ucraini. L’interesse concreto perché questa guerra venga fermata è condiviso da parte importante della comunità internazionale. L’appuntamento in Svizzera può essere un inizio, e lì possono essere Stati Uniti e Cina a guidare le danze. Gli ucraini hanno interesse a fare la pace adesso, prima che possa arrivare Trump».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.