Esteri
Polveriera Bielorussia, il consigliere di Putin: “Serve asse Mosca-Bruxelles”
La Russia ha tutto l’interesse a cooperare con l’Unione Europea per favorire una transizione graduale e ordinata del potere a Minsk, in vista di un più generale miglioramento delle relazioni tra Mosca e Bruxelles: è il messaggio che arriva da ambienti diplomatici moscoviti nel giorno del Consiglio Europeo straordinario che ha dichiarato di non riconoscere l’esito ufficiale delle elezioni presidenziali in Bielorussia e ha sancito il principio della non interferenza esterna nel Paese, oltre ad avviare l’imposizione di sanzioni individuali ai responsabili della violenta repressione seguìta al voto. «Non dobbiamo lasciarci sfuggire l’opportunità di sfruttare questa crisi per un riavvicinamento», dice al Riformista Andrei Kortunov, direttore del Riac, istituto dell’amministrazione presidenziale e del ministero degli esteri deputato a fornire analisi e raccomandazioni di politica internazionale al Cremlino. «La dichiarazione dei giorni scorsi secondo cui la Russia potrebbe intervenire “se necessario” al fianco di Lukashenko è rituale, perché esiste un trattato di difesa collettiva che comprende la Bielorussia, ma lo stesso portavoce di Vladimir Putin ha chiarito che al momento questa necessità non c’è». Mosca e Bruxelles hanno una «comune convenienza a che non si crei una situazione come quella del 2014 in Ucraina, e potrebbero trovare il modo di collaborare».
Secondo Kortunov, «l’opzione migliore per Vladimir Putin sarebbe un passaggio dei poteri bene organizzato, a qualcuno che non metta in discussione la lealtà verso Mosca ma che sia meno imprevedibile e politicamente più presentabile di Lukashenko». I leader dell’opposizione Viktor Babariko e Valery Tsepkalo, per esempio, sono considerati perfettamente accettabili, e anche personaggi dell’establishment quali l’ambasciatore a Bratislava dimissionario Igor Leschenya. Meno chiara la posizione su Svetlana Tikhanovskaya, la candidata alla presidenza che si ritiene defraudata della vittoria alle elezioni del 9 luglio. In un nuovo video su Youtube, Tikhanovskaya, dalla Lituania dove è stata costretta a rifugiarsi, aveva chiesto ai leader Ue di non riconoscere quel voto «perché i risultati son stati falsificati», e di «sostenere il risveglio popolare e la transizione in Bielorussia».
Intanto a Minsk è stato creato un Consiglio dell’opposizione, che si è dichiarato «disposto al dialogo con tutti», Russia compresa. Nelle stesse ore, Alexander Lukashenko appuntava medaglie sul petto di 300 agenti dei suoi servizi di sicurezza, per «l’impeccabile servizio» reso al Paese durante le proteste dei giorni scorsi. Più che al valore, son medaglie alla viltà: centinaia di feriti e almeno tre morti tra i dimostranti pacifici e disarmati; 7mila arresti; un centinaio di persone percosse e umiliate mentre erano in custodia delle forze dell’ordine.
«Lukashenko può contare sulla fedeltà dei servizi di sicurezza e delle élite», dice al Riformista Katsiaryna Shmatsina , analista dell’Istituto bielorusso per gli studi strategici. «Solo pochi subalterni hanno rifiutato di picchiare i loro concittadini o si sono schierati con la protesta. I comandanti, e le persone ai posti chiave della politica e dell’economia continueranno a sostenere il capo, perché sanno che non potrebbero mantenere le loro posizioni di privilegio se lui perdesse il potere». Secondo Shmatsina, siamo a un punto di svolta: «O crolla il regime o scorrerà il sangue, perché Lukashenko può governare solo sulle baionette dei suoi pretoriani».
L’autocrate ha dato ordine al Kgb (il servizio segreto in Bielorussia ha mantenuto il nome sovietico, ndr) di agire contro gli organizzatori delle proteste. Nuovi arresti sono avvenuti presso la fabbrica di trattori Minsk Zavod, dove Lukashenko era stato accolto dai fischi e i «vattene!» degli operai: un episodio che ha decretato la «fine politica» dell’autocrate, scrivono i quotidiani russi Kommersant e Moskovskiy Komsomolets. I giornali di Mosca non nascondono una smaccata simpatia nei confronti di chi è sceso in piazza contro Lukashenko. La tivù di Stato invece non perde occasione di ricordare gli accordi intergovernativi che legano Minsk alla Russia, e di accusare i dimostranti di essere manovrati dall’estero. Ma i toni sono assai più sfumati di quelli con cui nel 2014 i propagandisti di Putin tacciavano di «nazisti» e «russofobi» i dimostranti ucraini di Maidan.
Nessuno tra i media russi ritiene possibile un intervento militare, nemmeno quelli più critici col Cremlino: «La brutalità e la retorica del dittatore hanno l’obiettivo di risucchiare militarmente Putin nel vortice della crisi, ma Putin non ci cascherà perché la Russia non ha le risorse per intervenire e perché la contrapposizione all’Occidente diverrebbe insanabile», scrive il giornale liberale Novaya Gazeta. E anche perché – aggiungiamo noi – il mercuriale Lukashenko non è mai stato nelle grazie dello zar, che gli rimprovera i troppo giri di valzer e i flirt con Washington in politica estera, e probabilmente da tempo vorrebbe poter fare a meno della sua discutibile amicizia. Quel che conta per Putin è l’amicizia della Bielorussia, non quella di Lukashenko.
È vero che nei giorni scorsi alcuni camion per trasporto truppe, senza targa né insegne ma identici a quelli utilizzati dalla Guardia nazionale russa, son stati avvistati sull’autostrada Smolensk-Minsk, diretti verso il confine. Ma anche se Putin effettivamente avesse messo in allerta qualche decina dei suoi specialisti anti-sommossa, l’ipotesi di un’intervento diretto a sostegno di Lukashenko non è credibile: «È un’opzione impraticabile, perché avrebbe ripercussioni gravi. Prima su tutte: sarebbe l’unico modo per generare un sentimento anti-russo nella popolazione», nota Andrei Kortunov. Nelle manifestazioni di protesta finora la gente ha gridato slogan contro Lukashenko, non contro Mosca o per un’integrazione nell’Ue e nella Nato – cosa che il Cremlino vedrebbe come il fumo negli occhi.
«Qualcosa di simile a quel che sta avvenendo in Bielorussia – ricorda Kortunov – è avvenuto nel 2019 in Moldavia: sia Mosca che Bruxelles riconobbero che non si poteva lasciare il Paese in mano a un oligarca (Vladimir Plahotniuc, ndr) e insieme agevolarono una soluzione forse non perfetta ma che riconciliò governati e governanti». Condizione necessaria per lavorare congiuntamente a una soluzione “moldava” della situazione in Bielorussia, «un pieno accordo sulla non interferenza diretta». Sulla «necessità di non interferire» hanno convenuto con Vladimir Putin la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel nelle telefonate scambiate col capo del Cremlino alla vigilia del vertice Ue.
Che “l’ultimo dittatore d’Europa” sia agli sgoccioli, ci sono pochi dubbi. Nel cercar di evitare che il suo epilogo sia oltremodo doloroso per la popolazione, l’Unione Europea potrebbe voler cogliere l’opportunità per riagganciare la Russia, visto che Putin non ha tutta questa voglia di salvare il suo collega di Minsk. «Ci vorrà un impegno politico forte da entrambe le parti, che al momento si fidano poco l’una dell’altra», ammette Kortunov. «Si dovranno concordare i passi da fare, senza ripetere gli errori visti per l’Ucraina». Ma «non è solo wishful thinking». Anche perché «in un mondo che, dopo la pandemia, sarà dominato da un bipolarismo Usa/Cina a svantaggio sia di Mosca che di Bruxelles, lo sviluppo di una cooperazione più stabile sarebbe davvero auspicabile», sostiene Kortunov.
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