Paolo Condò, a un certo punto, non ha potuto fare a meno di aggiornare la sua classifica di “persone che avrei voluto essere”. Era l’agosto del 2018, e tutti in quella top ten facevano un passo indietro: da Gianni Brera ad Al Pacino, passando per Sting fino a Tiger Woods. Solo Ernest Hemingway restava saldo in cima. Al secondo posto la new entry: Marco Borriello, attaccante napoletano, che quell’estate passava all’Unión Deportiva Ibiza. Che pacchia, che sogno. Troppo anche per Condò, giornalista a SkySport e Repubblica, per oltre trent’anni alla Gazzetta dello Sport. Sette Mondiali di Calcio, cinque Europei, due Olimpiadi e otto Giri d’Italia; dal 2010 membro italiano della giuria internazionale che assegna il Pallone d’Oro. Una carriera che ha riassunto in 30 ritratti per 30 stadi messi insieme in un volume colorato e agile, Porte Aperte, edito da Baldini e Castoldi.

Un’autobiografia, in pratica, cominciata in forma di thread su Twitter, un annetto fa, nella quarantena della primavera del 2020. Pieno lockdown, quello che ci ha dato canzoni retoriche e racconti voyeuristici e monologhi smielati ma anche le dirette di Vinicio Capossela e, per l’appunto, il Grand Tour di Condò, autore di almeno altri due libri da ricordare: I duellanti (Baldini&Castoldi), sulla rivalità tra José Mourinho e Pep Guardiola, e Un Capitano (Rizzoli), autobiografia di Francesco Totti dalla quale è stata tratta la serie tv Speravo de morì prima. Il titolo Porte Aperte è un augurio, i 30 episodi un viaggio dentro ai cassetti, nel “tempo sospeso” della pandemia, ampliato e rivisto in una prosa brillante, mai sciantosa.

Bozzetti di aneddoti del quale non parleremo: qui l’attenzione va tutta alla dedica del libro. All’esergo: un esergo da incorniciare. Ai tassisti, alle hostess, ai colleghi generosi e a quelli indimenticabili, ai portieri d’albergo e ai tipografi pazienti – e pure agli automobilisti e ai linotipisti, ai gatti neri e ai pessimisti, già che ci siamo. La benedizione a un mestiere, a una vita, professione reporter, l’accredito e la moleskine, tutta la curva deve cantare, le spallate in zona mista, gli incontri, città completamente diverse che la domenica lasciano soli i partner, lo sport per scrivere e viaggiare o il viaggio per la scrittura e lo sport o viceversa. Il passo del giornalista del pallone che per prosa e definizione racconta anche la storia, leggero, ad altezza d’uomo, tra una ginocchiata in bocca a un agente e una rivendicazione irredentista mossa dalla curva di un club.

A volerlo citare, qualche episodio, ci sono i Balcani – che tra stadi e guerre hanno segnato e formato una generazione di inviati e analisti -, la Bombonera che pulsa con un giovane Batistuta che gioca un brutto scherzo, Napoli e l’icona pop – Maradona entra ed esce in tutto il libro – che ha coccolato e soffocato, lo zuccherificio colombiano, le gambe di Edwige Fenech, Barcellona e i suoi migliori anni che sono una sceneggiatura completa con la visione, il sogno, la giovinezza, il successo, la grandezza, il grottesco, il freak, la caduta, la malattia, la tragedia. Una serialità sempre o quasi in corsa contro il tempo, che è anche fuso orario, la struggle for life delle Partite Iva e chissà quali corrispettivi stranieri, il contrattempo e i ritardi che suggeriscono come il pezzo sia il primo obiettivo da inseguire e l’ultimo da portare a casa ma anche quello che può diventare mentre stai facendo altro. Quello che è potuto essere, in trenta momenti, e quello che è diventato questo mestiere.

Se qualcuno vorrà prenderlo come i titoli di coda su una professione – o una maniera di praticarla – che non esiste più o esiste in via d’estinzione, benvenuto, anche se fuori tempo massimo. Condò scrive di sentirsi un dinosauro e di non aver mai condiviso la strategia di tagli a inviati e corrispondenti. Sarebbe interessante sentirlo o leggerlo nell’approfondire questa parte. Giornalisti o aspiranti intanto si accontenterebbero – c’è anche chi sogna di scrivere analisi tattiche incorreggibili e puntuali: beato lui – di diventare molto meno bravi, scrivere meno, viaggiare poco meno di Paolo Condò. Giornalista di quelli in cima alla lista di “persone che avrei voluto essere” di molti giornalisti o aspiranti. Hai detto niente, che sogno.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.