La massiccia offensiva di Hezbollah in corso in queste ore nel nord di Israele conferma l’esigenza di affrontare al più presto l’assetto postbellico di Gaza al fine di evitare ulteriori fasi di escalation. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha più volte espresso la disponibilità italiana a inviare i nostri militari nella Striscia all’interno di una missione internazionale, ricordando la lunga e positiva esperienza del contingente italiano in Libano. Il riferimento di Tajani all’esperienza libanese può risultare fuorviante.

La missione ONU nel sud del Libano convive da più di 15 anni con i miliziani armati di Hezbollah e ciò è ovviamente improponibile a Gaza. Nessuno nega l’utilità umanitaria, di interposizione e di mediazione trilaterale di UNIFIL; tuttavia è corretto ricordare che la missione non è stata messa nelle condizioni di implementare tre compiti che erano stati affidati dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’11 agosto del 2006: garantire che il territorio dove opera non sia utilizzato per azioni ostili di qualunque genere; assistere le forze armate libanesi nel contrasto ai traffici illegali di armi; creare una zona effettivamente smilitarizzata tra il fiume Litani e la Blue Line.

Ha assolutamente ragione Benny Ganz a criticare Benjamin Netanyahu per la riluttanza a indicare una soluzione postbellica per la gestione Gaza, ma è bene precisare all’opinione pubblica che una ricetta in stile libanese sarebbe disastrosa. La presenza internazionale a Gaza serve a condizione che si realizzi il totale disarmo delle brigate di Hamas e della Jihad Islamica a piena garanzia della sicurezza dell’Egitto e di Israele.

Marco Mayer

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