L'indagine di OPSan
Povertà sanitaria e mortalità: lo scenario delle “nove Italie” dopo la pandemia
Nel 2022 la mortalità non è rientrata ai livelli pre-pandemici, risultando in tutte le aree ancora superiore al tasso medio del periodo precedente
Può sembrare paradossale che per valutare lo stato di salute di una popolazione la mortalità sia uno degli elementi di massimo interesse.
Il dato di mortalità, tristemente noto e quotidianamente in prima pagina nel periodo pandemico, è condizionato da moltissimi fattori: oltre alle caratteristiche proprie dell’individuo (patrimonio genetico, stili di vita), pesano elementi di contesto, ambientali e socioeconomici, che nell’insieme influenzano le disuguaglianze nella salute delle popolazioni. Al tema della mortalità in Italia, osservata prima e dopo la pandemia da Covid-19, è dedicato uno dei capitoli dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio della Povertà Sanitaria (OPSan) di Banco Farmaceutico, fondazione che attraverso un sistema di donazioni e la collaborazione con il settore non–profit sostiene la cura degli indigenti.
Sulla base dei dati disponibili (ISTAT e MEF), l’indagine di OPSan ha preso in considerazione la mortalità e l’eccesso di mortalità (emerso nel 2022 rispetto al periodo pre-Covid 2015-2019) nelle cosiddette “nove Italie” (comuni < 50.000 ab., comuni > 50.000 ab. e aree metropolitane nelle tre ripartizioni Nord, Centro e Sud-Isole), completando l’analisi in funzione del fattore economico (reddito pro capite). Già negli anni precedenti la pandemia i tassi di mortalità erano distribuiti in modo disuguale nelle diverse zone geografiche, risultando più elevati nei comuni più piccoli del Sud Italia (+ 10% rispetto alla media nazionale). Nel 2020 il picco dell’ondata pandemica, che – com’è noto – ha colpito soprattutto le regioni settentrionali, ha riguardato in particolare i comuni di più piccole dimensioni (quasi 1.300 decessi/100.000 ab. contro una media nazionale di 1.135/100.000). Il biennio successivo è caratterizzato da un secondo picco, di entità minore (poco più di 1.200/100.000), a carico dei piccoli comuni dell’Italia meridionale, ma il dato più interessante riguarda il 2022: la mortalità non è rientrata ai livelli pre-pandemici, risultando in tutte le aree ancora superiore al tasso medio del periodo precedente, con un’unica eccezione rappresentata dall’area delle città metropolitane del Centro Italia.
I dati sull’eccesso di mortalità, si discostano in parte da quelli relativi alla mortalità: infatti l’eccesso (+12% a livello nazionale) grava soprattutto sui comuni con > 50.000 abitanti, mentre resta più favorevole il dato delle aree metropolitane. Le differenze osservate sono senza dubbio il risultato di una molteplicità di fattori, tra i quali un ruolo importante può essere attribuito alle difficoltà di accesso ai servizi, senza dubbio maggiori nelle aree più periferiche del Paese. Nel rapporto OPSan i dati di mortalità sono infine analizzati in relazione ad un indicatore dello status economico (% di contribuenti con reddito annuo inferiore a 10.000): il rapporto non è risultato lineare, cioè al diminuire del reddito non si rileva un aumento inversamente proporzionale della mortalità e viceversa al maggior reddito non corrisponde una equivalente riduzione della mortalità; anche nei comuni del Nord e specialmente nel Nord-Ovest, dove è maggiore il benessere economico, si osservano aree con mortalità particolarmente elevata. In sostanza la mappatura ha evidenziato caratteristiche di “incoerenza”, prevalendo cioè le situazioni in cui al variare del reddito proporzionalmente non si modifica la mortalità nella popolazione.
Per spiegare questo scenario, si deve tener presente che l’esito mortale delle malattie è influenzato da variabili di diversa natura, che nello specifico del periodo considerato comprendono fattori associati e non associati alla pandemia. Se è vero che le diverse ondate di Covid-19 non hanno colpito in modo uniforme le Nove Italie, che la diffusione del contagio è stata causata da varianti di differente virulenza e che le coperture vaccinali non sono state uniformi, si deve sottolineare che a tutti questi elementi sono sovrapposti fattori preesistenti alla pandemia ed anche persistenti, come quelli di natura demografica (tasso di invecchiamento), economica (tenore di vita) e sociale (contesti abitativi). Le diseguaglianze sociali ed economiche si legano direttamente alle difficoltà di accesso ai servizi sanitari e al preoccupante fenomeno della rinuncia alle prestazioni di prevenzione, diagnosi e cura. In questo contesto di povertà sanitaria, la ben consolidata attività delle organizzazioni non-profit rappresenta, nel nostro Paese più che altrove, una nota positiva, ben documentata dall’attività delle oltre 1900 strutture caritative che ricevono supporto dal Banco Farmaceutico. Un’attività che meriterebbe maggior attenzione anche da parte delle istituzioni.
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