Lacrime di coccodrillo
Basta lacrime di coccodrillo, l’Italia impari da Prato
Prato è una città speciale. Non si capisce Prato se non la si vive, se non si conoscono i pratesi, se non si leggono i libri di Veronesi o di Nesi e prima di loro di quel maledetto toscano che fu Curzio Malaparte. Non si capisce Prato se non si coglie l’anima drammatica nell’ironia del Roberto Benigni di Vergaio o del primo Francesco Nuti. Non si capisce Prato se non si collega la passione degli ultrà del Lungobisenzio con il sogno contemporaneo del Pecci. Ma soprattutto non si capisce Prato se non si prende atto che questa è la città dove il lavoro è sacro, dove faticare è un dovere, dove non mollare mai è normale. Prato è la capitale dell’area alluvionata. E prima di intervenire in Aula per chiedere al Governo di fare sul serio, di non perdere tempo come in Emilia Romagna, di non rinviare il ripristino dell’unità di missione sul dissesto ho chiamato il sindaco, Matteo Biffoni. Un sindaco bravissimo. La voce sorridente come sempre di un uomo che però da quattro giorni non dorme: immagino che le sue camicie siano stropicciate, gli occhi di più.
Ma la mente è lucida: “Dì ai senatori che noi a Prato si vuole tutto tranne che la cassa integrazione. Perché a Prato bisogna lavorare: ci diano la decontribuzione e i fondi per ricomprare i macchinari delle aziende tessili, altro che sussidi”. Questa è la capitale degli alluvionati. È gente che ha insegnato al mondo che cosa significa lavorare duro. È gente che non si lamenta della mancanza dello Stato: intanto fa, poi starà a vedere. Perché a Prato il dolore è per le vittime, come è ovvio. Ma poi c’è di più che i soldi. Perché i soldi sono importanti certo. Ma i ricordi di più. A Prato, come a Quarrata o Campi Bisenzio, il problema è che l’acqua ha portato via le foto del figlio che non c’è più, ha distrutto l’abito da sposa che era il ricordo più bello, ha spezzato il filo dei ricordi delle famiglie. A Prato c’è l’umanità vera, quella dei valori del cuore, non solo del conto corrente.
Nel frattempo il Parlamento ha fatto la solita commemorazione. Cordoglio per le famiglie delle vittime, gratitudine per i soccorritori, vicinanza agli amministratori. E giù con il solito bla bla bla. Tutte chiacchiere se non si fanno le opere necessarie. Del resto Firenze a questo giro si è salvata grazie alle casse di laminazione in Valdarno e alla diga di Bilancino. Venezia si è salvata grazie al tanto criticato Mose. Dove si fanno le opere necessarie i danni sono più contenuti. Il cambiamento climatico fa paura ma il ritardo burocratico dovrebbe impaurirci di più. Solo che i ministri burocrati sono più preoccupati di mandare gli agenti per controllare l’ordine pubblico per Fiorentina Juventus che non per raggiungere le frazioni isolate. Per ora ci pensano i maledetti toscani, che sanno far da soli. Ma se lo Stato non si dà una mossa, le parole della commemorazione di ieri saranno solo vergognose lacrime di coccodrillo.
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