Se si escludono due aggiornamenti positivi, ma molto limitati, ossia l’introduzione di un tetto di due mandati per il Premier e un emendamento del senatore Pera che preserva alcune prerogative del Presidente della Repubblica svincolandole dal consenso del Governo, il fronte del premierato sembra ancora dominato da una propaganda governativa che non risponde ai quesiti puntuali posti dalle associazioni Io Cambio, Libertà Uguale, Magna Carta, Riformismo e Libertà con la maratona oratoria di alcune settimane fa.
L’iniziativa delle associazioni, va ripetuto, non contestava le finalità della riforma che debbono essere due per rispondere ai nodi irrisolti della forma di governo italiana: un sistema elettorale di impronta maggioritaria che con strumenti ragionevoli e proporzionati porti alla scelta diretta da parte degli elettori di una maggioranza e di un primo Ministro; norme costituzionali in grado di rappresentare un deterrente efficace contro le crisi che possono rimettere in discussione quella legittimazione elettorale.
Nessuna confusione, quindi, con critiche di tipo passatista presenti in alcune parti dell’opposizione e della dottrina che, anche per la persistenza culturale del complesso del tiranno, vorrebbero ritornare a forme di delega in bianco di tipo proporzionalistico, le quali, nel contesto italiano, a causa della nostra peculiare storia di incapacità di costruire convenzioni condivise, non sarebbero in grado di produrre una connessione stringente tra consenso, potere e responsabilità. Altrove questo risultato è ottenuto anche con leggi proporzionali, ma nel contesto italiano, come si è visto sia nel primo sia nel secondo sistema dei partiti, questo non accade. Le intese post elettorali in Italia non solo non sono stabili, ma soprattutto non portano alla guida del Governo la personalità della coalizione di maggioranza che è stata indicata agli elettori prima del voto.
Nel caso italiano l’esito del sistema elettorale deve essere quindi decisivo, come fu stabilito consapevolmente per Comuni e Regioni; anche se le regole sulla forma di governo non possono poi essere ugualmente rigide, basate sul simul stabunt simul cadent come per quei livelli di governo, data la diversa complessità di scala del livello nazionale, dove vi sono in più un Presidente della Repubblica, una Corte costituzionale e una funzione di revisione costituzionale.
La maratona riprendeva su questo l’elaborazione tradizionale sul premierato, che si era costruita in particolare nella commissione bicamerale D’Alema col testo Salvi e con le audizioni Barbera e Cheli, rispetto alle quali il testo governativo sembra aver preso inconsapevolmente, forse per mancata conoscenza, una linea deviante piena di contraddizioni.
Rispetto alla scelta semplice ipotizzata allora, un voto su unica scheda, per una sola assemblea parlamentare dotata del rapporto fiduciario col Governo, il testo odierno ne mantiene invece due distinte e sembra voler aggiungere un voto ulteriore per il Premier. Come risolvere la facile obiezione del rischio di non giungere a esiti coerenti oppure di produrne coerenti ma irragionevoli? Il testo, anche nella nuova formulazione, non risponde se non con una promessa: si “garantisce” una maggioranza assoluta in seggi in entrambe le Camere al Premier eletto. Ma basta questa parola magica? Viene in mente l’analogia con le parole che la Genesi mette in bocca a Dio Padre “Crescete e moltiplicatevi” a cui un libro di teologia morale aggiunse come postilla la domanda “Sempre e comunque?” per moderarla con la sensibilità moderna alla paternità e maternità responsabile. Ora è pensabile, ad esempio, che la Corte costituzionale ritenga legittima, per la sola esistenza di quella parola, una legge che dia la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e al Senato a un Premier eletto direttamente la cui coalizione sia arrivata seconda in almeno uno dei due rami del Parlamento, magari in un turno unico di votazione?
La garanzia non può essere data a prescindere, ma deve rispondere a canoni di ragionevolezza, senza i quali una legge resterebbe illegittima. Tanto più se si consideri quanto pesano i 5 milioni di elettori all’estero nella eventuale competizione diretta per i voti per il premier rispetto ai pochi seggi loro assegnati per deputati e senatori (8 e 4), rendendo probabili esisti diversi. Si risponde che ad alzare la legittimazione del Premier ci potrebbe essere comunque un ballottaggio che giustificherebbe a quel punto anche i premi, però non lo si scrive nella norma. Ma perché questo doppio standard? Perché si deve essere così precisi nel garantire una maggioranza assoluta in seggi per le Camere e non chiarire il punto centrale della riforma, la formula per eleggere il Premier? Per di più non tutti i ballottaggi sono uguali. Quello che fissa la soglia al 40 per cento, che pare gradito per ragioni di parte all’attuale maggioranza, che sta di norma al di sopra tale soglia, non solo ha una minore legittimazione democratica dell’eletto, ma ha rilevanti effetti di sistema. La maggioranza assoluta porta a conquistare il consenso degli elettori centrali, a cavallo tra gli schieramenti, quindi tende a favorire un bipolarismo mite, mentre quella del 40 rischia di rendere decisivi elettori più estremi e il ruolo decisivo delle forze politiche che li rappresentano. Ci si può certo rispondere che la Corte ha già riconosciuto la legittimità di un premio che portasse dal 40 per cento dei voti alla maggioranza assoluta dei seggi, ma lì si trattava di una competizione tra forze politiche non trascinata da un’elezione diretta, che ha caratteristiche sue proprie.
È pertanto più che ragionevole chiedere sin d’ora di mettere le carte in tavola sulle leggi elettorali che si immagina di adottare perché quelle formulazioni costituzionali non sembrano convincenti. Si risponde che esse verranno chiarite una volta assestata la prima lettura della riforma in entrambe le Camere. Ma che senso ha? Tutti sanno che se si assesta una prima lettura, la seconda può poi essere solo di conferma o di smentita del testo, senza poter introdurre emendamenti. Se dal confronto di merito si dovesse a quel punto convenire che le norme costituzionali dovrebbero essere modificate per dare copertura a norme elettorali più ragionevoli e condivise non le si potrebbe più cambiare.
Insomma da parte della maggioranza si naviga ancora in una logica propagandistica e, anche se spesso parti dell’opposizione producono a loro volta una propaganda poco consistente di segno opposto, chi ha più potere ha più responsabilità e non può essere per questo minimamente assolto. Se ne dovrà parlare nella finestra temporale possibile, dopo le elezioni europee, quando i fumi della propaganda potrebbero evaporare.