Liliana Segre è donna di grande autorità morale e politica. Tuttavia i suoi argomenti contro la riforma del premierato non sono sempre convincenti. Anzitutto, il quadro storico del dibattito sul tema è più complesso di quello da lei rappresentato: prima dei referendum falliti del 2006 e 2016, ci sono stati vari passaggi che mostrano come l’esigenza di rafforzare i poteri del premier e di razionalizzare il suo rapporto con il Parlamento fosse condivisa dalle forze di centrosinistra e quindi in nessun modo identificabile con una pulsione o vocazione autoritaria della destra.
La tesi 1 dell’Ulivo e il testo Salvi della Bicamerale D’Alema sono lì a dimostrarlo. La senatrice non manca invece di ragioni quando denuncia la necessità di stabilire una soglia minima elevata per l’elezione del premier e quando fa riferimento alla questione dei contrappesi, in particolare per quanto riguarda il ruolo del presidente della Repubblica. Su questi punti esistono proposte bipartisan, elaborate da esperti di questioni costituzionali, che meriterebbero un esame attento e che permetterebbero di superare alcune gravi criticità dell’attuale progetto del governo. Dispiace quindi che la senatrice Segre non abbia colto l’occasione di usare la sua indubbia autorevolezza per spingere maggioranza e opposizione ad uscire dalla pura e semplice contrapposizione per cercare di lavorare insieme a una riforma condivisa. Non ce n’è bisogno, è il suo giudizio; ma con questo giudizio la senatrice si schiera nel fronte della conservazione costituzionale.
Le funzioni
Come non vedere che la funzione di supplenza, svolta da presidenti della Repubblica per nostra fortuna estremamente capaci e saggi, rispetto a un sistema politico infragilito e incapace di trovare soluzioni alle sue crisi, non può essere considerata fisiologica? Può essere considerata normale una legislatura che ha visto tre diverse maggioranze, nessuna delle quali corrispondenti ai risultati elettorali? Non è necessaria una riforma che impedisca questi fenomeni, sostanzialmente trasformistici, e renda il rapporto governo-Parlamento più simile a quello che esiste in tutti i regimi parlamentari europei?
Il rifiuto del dialogo
Siamo oggi di fronte al rifiuto del dialogo da parte di ambedue i soggetti che dovrebbero dialogare. Si deve sperare che, una volta superato il tornante delle elezioni europee, le cose possano cambiare. Sarebbe un errore grave per l’opposizione chiamarsi fuori, e puntare sul referendum, nella speranza di una facile vittoria. Lo stesso errore fatto in passato da tutti: pensare che collaborare a una riforma dia al governo in carica un vantaggio eccessivo. Ma la questione è troppo importante per fermarsi di fronte a questo meschino timore. Al contrario, chi partecipasse all’impresa comune della riforma potrebbe assegnarsi un merito che sicuramente gli verrebbe riconosciuto da un’opinione pubblica che, se non altro attraverso il massiccio astensionismo elettorale, mostra di non sentirsi a suo agio nell’attuale atmosfera politica.