Nasce nel 4 febbraio del 1954 su iniziativa dell’amministrazione comunale sotto la sigla “Premio Napoli Le Nove Muse”. Inizialmente era articolato in nove sezioni dedicate ognuna ad un’arte: narrativa, musica, cinema, teatro, radiofonia e televisione, poesia, scienza, giornalismo e storia. Nel 1961 il Premio Napoli diventò Fondazione con decreto del Presidente della Repubblica e opera sotto l’alto Patronato del Capo dello Stato. Per statuto la presidenza spetta al Sindaco della città di Napoli che delega sempre ad altri l’incarico. Tra i presidenti delegati ricordiamo, tra gli altri, Antonio Ghirelli, Sergio Zavoli, Ermanno Rea. Attualmente al vertice della Fondazione Premio Napoli siede l’avvocato Domenico Ciruzzi delegato dal Sindaco di Napoli con decreto Sindacale numero 359 del 18 ottobre 2016 con accettazione e decorrenza dal 9 dicembre 2016.

Il Premio Napoli costituisce un unicum nel panorama culturale italiano, sia perché, a differenza di altri riconoscimenti promossi da privati, è promosso da una Fondazione costituita da soggetti pubblici (Comune di Napoli, Regione Campania, Città metropolitana, Camera di Commercio), sia perché animato da migliaia di “giudici lettori” che decretano con il loro voto i vincitori anno per anno.

La mission fondamentale della Fondazione è promuovere la lettura ed incentivare l’amore per il libro oltre a favorire il dibattito culturale, che attraverso vari percorsi di lettura, si irradia dal centro alle periferie, attraverso attività divenute patrimonio comune della città e dei napoletani.

67^EDIZIONE

Per la selezione dei candidati finalisti all’edizione 2021, sono giunti alla Fondazione Premio Napoli 137 opere letterarie, inviate dalle case editrici. Al termine di una lunga selezione la Giuria tecnica, come ogni anno, ne sceglie nove, tre per ciascuna categoria: Narrativa, Poesia e Saggistica.

A differenza di altri premi letterari, il Premio Napoli ha una particolarità: i “giudici lettori” che sono appassionati di letteratura e chiedono di partecipare, di leggere e giudicare le opere in concorso. Provengono da tutto il Paese, dalla città di Napoli, dalla provincia, dalle scuole alle periferie fin dalle carceri. I “giudici lettori” hanno il privilegio di potere leggere opere strepitose e offrire un proprio punto di vista con il voto. Negli anni sono andati sempre crescendo fino a raggiungere i 1700 per l’edizione del 2021.

Come di consueto in autunno ci saranno gli incontri con gli autori delle tre sezioni prima della serata finale del Premio Napoli che si terrà il 21 dicembre 2021 al Teatro Stabile di Napoli.

Il Premio Napoli si conferma un centro di sperimentazione di linguaggi narrativi – spiega il presidente della Fondazione Domenico Ciruzzi –. La selezione di questa edizione è di altissima qualità. Abbiamo ricevuto delle vere opere di scrittura creativa che rappresentano la realtà viva della letteratura italiana contemporanea. È entusiasmante scoprire ogni giorno che dopo 67 edizioni del Premio Napoli ci sia ancora tanto interesse per questo prestigioso riconoscimento. Da oggi inizia la vera e propria gara tra le opere scelte dalla nostra Giuria Tecnica e ci auguriamo che sia entusiasmante e combattuta. Desideriamo che le persone leggano e si lascino affascinare da storie, racconti, immagini, sogni. Adesso tocca ai giudici lettori che entro dicembre dovranno decretare i vincitori”.

I FINALISTI

NARRATIVA

Nicola Lagioia, La città dei vivi, Einaudi

Per la seconda volta nella sua carriera di scrittore Nicola Lagioia è finalista al Premio Napoli, questa volta con un libro che si potrebbe definire uscito dalla realtà cruda del nostro tempo. Un fatto di cronaca diventa non solo una storia fatta di facce, persone, emozioni ma anche di assenze. Il libro è una profonda ricostruzione dell’omicidio di Luca Varani, avvenuto a marzo 2016, da parte di Manuel Foffo e Marco Prato, due ragazzi di buona famiglia. Un gesto inspiegabile, inimmaginabile anche per loro pochi giorni prima. La notizia calamita immediatamente l’attenzione, sconvolgendo nel profondo l’opinione pubblica. Le parole dell’autore ci portano dentro uno dei casi più efferati degli ultimi anni. Un viaggio per le strade buie di Roma ma anche un’indagine sulla natura umana, sulla responsabilità e la colpa, sull’istinto di sopraffazione e il libero arbitrio. Su chi siamo, o chi potevamo diventare.

L’AUTORE

Nicola Lagioia nasce a Bari nel 1973, scrittore, conduttore radiofonico, attualmente è il direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino. Ha pubblicato racconti in varie antologie: Patrie impure (Rizzoli 2003), La qualità dell’aria (minimum fax, 2004) che ha curato assieme a Christian Raimo, Semi di fico d’India (Nuovadimensione, 2005), Periferie (Laterza, 2006), Deandreide, dedicata a Fabrizio De André (Biblioteca Universale Rizzoli, 2006), Ho visto cose (Biblioteca Universale Rizzoli, 2008), La storia siamo noi (Neri Pozza, 2008). Per Einaudi ha pubblicato Occidente per principianti (2004) con il quale è stato finalista al Premio Napoli, Riportando tutto a casa (2009, con cui si aggiudica il premio Siae, il premio Vittorini, il premio Volponi, il Premio Viareggio 2010 per la narrativa), La ferocia (2014), grazie al quale vince il Premio Strega 2015.

Enzo Moscato, Archeologia del sangue, Cronopio

Scrive Moscato di questo suo nuovo libro: «Anche se qualcuno non si trattiene dal proclamare la parola, molto impegnativa, di ‘memorie’, io voglio qui, per quanto posso, rettificare alquanto questa affermazione e dire che quest’Archeologia non è tanto il rendiconto della mia vita, da zero a tredici anni, quanto piuttosto l’affabulazione della vita degli Altri, di tutti gli Altri, del mio rione, in un determinato arco di tempo osservata parzialmente e con tutte le proiezioni dovute alla mia giovanissima età di allora. Più che essere, dunque, il ‘racconto di me’, è il ‘racconto di uomini e di donne attorno a me’, in Neapolis, osservati ed emozionalmente ‘elaborati’, e anche talvolta ‘giudicati’ senza pietà, dal curioso e irrequieto bambino che fui». Con questo volume Moscato inaugura, nella sua straordinaria lingua, popolata, come è anche il suo teatro, dalle voci più varie il racconto di settant’anni di vita neapolitana.

 L’AUTORE

Enzo Moscato (Napoli, 1948), attore, autore e regista, è tra i capofila della nuova drammaturgia napoletana con un teatro scritto e interpretato in forme coraggiosamente inconsuete. La lingua arcaica e modernissima, il plurilinguismo tutto suo lo hanno imposto all’attenzione della critica e del pubblico internazionale. È considerato l’interprete di un nuovo teatro di poesia, che riconosce i suoi ascendenti sia nei grandi autori napoletani, che in Artaud, Genet, nei poeti maledetti di fine secolo, in Pasolini. Per la sua carriera nel 2018 ha vinto il prestigioso Premio Ubu. Per Cronopio ha pubblicato Ritornanti, adattamento filmico della pièce Spiritilli (2017).

Aurelio Picca, Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, Bompiani

Dalle finestre di una pensione sul lago Albano, Alfredo Braschi guarda l’acqua che colma l’antico cratere vulcanico e stringe una Beretta calibro 6,35 che, insieme alla pistola con cui i suoi antenati ammazzavano i tori, è tutto ciò che gli rimane. Alfredo ha conosciuto la dolcezza di un amore assoluto, l’amicizia, il tradimento, e ora non ha più nulla se non il coraggio per uccidere o morire. A sua volta “sull’orlo di un cratere” popolato di tutte le giovinezze vissute, Aurelio Picca compie in questo romanzo un’operazione letteraria coraggiosa quanto il suo protagonista: lascia emergere dal passato la figura di Laudovino De Sanctis, ferocissimo criminale romano, e la sceglie come specchio attraverso cui condurre la narrazione ai suoi esiti più estremi. Con sette omicidi, quattro sequestri di persona, undici condanne definitive, due rocambolesche fughe dal carcere, Laudovino detto Lallo Lo Zoppo ha fatto tremare Roma fin dagli anni sessanta, ma nessuno finora aveva raccontato la sua storia. Nemmeno ventenne, Alfredo Braschi incontra Laudovino, ne rimane folgorato, è testimone del fascino e dell’orrore. Ma adesso che è solo, circondato dalle ombre, ricordare la fatale amicizia con Lallo è per Alfredo un modo per fare i conti con se stesso, senza pretendere sconti. In testa ha una sola traccia: la Ninnananna che sua figlia Monique cantava da bambina. Monique, come la figlia di Lallo. Monique, che ha subito una violenza da vendicare. Con una scrittura capace di addentrarsi nel buio del male grazie all’innocenza radicale da cui scaturisce, Aurelio Picca fa risuonare le parole dei carnefici e il pianto delle vittime in un profondo silenzio, e scrive un romanzo doloroso e ardente.

L’AUTORE

Picca è nato ai Castelli Romani, ha pubblicato, tra gli altri, la silloge Per punizione (Rotundo 1990), la raccolta di racconti La schiuma (Gremese 1992), e i romanzi L’esame di maturità (Giunti 1995, Rizzoli 2001), I mulatti (Giunti 1996), Tuttestelle (1998, premio Alberto Moravia, Superpremio Grinzane Cavour), Bellissima (1999), Sacrocuore (2003), Via volta della morte (2006, nuova edizione Bompiani 2014), Se la fortuna è nostra (2011, premi Hemingway e Flaiano), tutti per Rizzoli; e, per Bompiani, Addio (2012), Un giorno di gioia (2014) e il poema civile L’Italia è morta, io sono l’Italia (2011). Nel 2016 è uscito Capelli di stoppia. Mia sorella Maria Goretti per le edizioniSan Paolo, e nel 2018 per Einaudi Arsenale di Roma distrutta (premio Roma 2019). Ha scritto di arte, letteratura, cinema, cronaca per testate nazionali; tuttora collabora al Corriere della Sera e La Lettura, Il Foglio, Il giornale e La Repubblica.

POESIA

Carmen Gallo, Le fuggitive, Aragno

Come spiega l’autrice, il poemetto che apre il libro riprende un’immagine antica: l’ephedrismos, e prevedeva che due contendenti mirassero a una pietra-bersaglio: chi perdeva doveva correre a cercare la pietra a occhi coperti, col vincitore sulle spalle. Questo agone crudele aveva dunque per mezzo, ma anche posta in gioco, l’esercizio della vista. Sin dai suoi esordi, dimensione del rito e ossessione visiva connotano la poesia di Carmen Gallo. Questo gioco tra fantasmi del sé non fa allora che esplicitare la dimensione appunto rituale (più che teatrale in senso stretto) della coazione a ripetere: che sempre, di questa parola, è stata tema immanente e sotteso impulso formale. Il bellissimo componimento che al libro dà il titolo disocculta la sostanza personale dell’allegoria che lo precede, dispiegando lo sguardo su di sé (persecutorio come quello di Buster Keaton, in un certo terribile Film) in una serie di luoghi-stazione ricorrenti come l’incubatrice, il corridoio e l’altalena. Il primo alberga un incubo tutto calato, intriso nel linguaggio (è «la ferita che manca»); il secondo è figura psichica che abbiamo appena visto percorsa; il terzo tornerà in clausola: emblema – come il dondolare di Beckett – di un movimento incessante che è «assurdo, e non vale la pena».

L’AUTORE

Carmen Gallo (Napoli, 1983) ha pubblicato Paura degli occhi (L’Arcolaio 2014), e Appartamenti o stanze (D’If 2017, Premio Castello di Villalta). Nel 2019 è stata inclusa nel XIV Quaderno di poesia contemporanea a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos), e nell’antologia della giovane poesia europea Grand Tour. Reisen durch die junge Lyrik Europas, a cura di Federico Italiano e Jan Wagner (Carl Hanser 2019). Un’ampia selezione delle sue raccolte è presente nell’antologia tedesca Die Maulposaune. Gedichte aus Italien, a cura di Hans Thill e Chiara Caradonna (Das Wunderhorn 2019). È nella redazione del blog «Le parole e le cose2». Traduce dall’inglese, e ha scritto su teatro e poesia elisabettiana, su Milton, Beckett e sul teatro britannico contemporaneo. Ha curato Tutto è vero, o Enrico VIII di Shakespeare per Bompiani (2017) e pubblicato il saggio sui poeti metafisici intitolato L’altra natura. Eucaristia e poesia nel primo Seicento inglese (ETS 2018, Tempera Book Prize 2018).

Laura Liberale, Unità stratigrafiche, Arcipelago Itaca

Una raccolta di poesie, racconti di vita e di morte. Liberale sceglie toni di una elegia pacata, affronta il tema con una scrittura alta e con una emotività unica. Nel suo sguardo verso i tanti volti delle sue storie non c’è retorica, mette al centro eventi raccontandoli in modo complesso ma sempre originale. L’autrice dona voce ai soggetti straniando il lettore, scioccandolo, ma raccontando sempre un’emozione, una storia.

L’AUTORE

Laura Liberale è scrittrice, indologa e tanatologa. Ha pubblicato i romanzi Tanatoparty (Meridiano Zero 2009), Madreferro (Perdisa Pop 2012), Planctus (Meridiano Zero 2014); le raccolte poetiche per la figlia (d’If 2009), Ballabile terreo (d’If 2011), La disponibilità della nostra carne (Oedipus 2017); i saggi indologici I mille nomi di Ganga (Edizioni dell’Orso 2003), I Devīnamastotra hindu – Gli inni puranici dei nomi della Dea (Edizioni dell’Orso 2007), I nomi di Siva (Cleup 2018), ed è tra gli autori di Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi 2012).

Alberto Rollo, L’ultimo turno di guardia, Manni

Il lavoro di Rollo è frutto di una lunga gestazione, e dà voce a una sensazione di tempo congelato e immobile. Il suo io poetante è chiuso in un luogo, una sorta di torre, forse un carcere, un ospedale ed è a contatto solo con una figura. Sospeso su un confine, questo uomo rivede le figure chiave della sua esistenza, come quella del padre. C’è solo un tempo sospeso, un guardare fine a sé stesso mentre gli uomini si affannano ad andare avanti come hanno sempre fatto.

L’AUTORE

Alberto Rollo è nato a Milano nel 1951. Direttore letterario in Feltrinelli, direttore editoriale di Baldini Castoldi, è ora consulente per la narrativa italiana in Mondadori. Collabora con le pagine culturali di riviste e quotidiani nazionali. Ha tradotto romanzi di autori inglesi e americani tra cui La famiglia Winshaw di Jonathan Coe (Feltrinelli 1995) e A sangue freddo di Truman Capote (Garzanti 2019). Ha scritto per il teatro (Tempi morti nel 1992) e per la televisione. Ha curato l’antologia Che cosa ho in testa (Baldini Castoldi 2017). Nel 2016 ha esordito nella narrativa con Un’educazione milanese per Manni: cinquina del Premio Strega, finalista al Premio Stresa e al Premio Chianti, vincitore del Premio Alvaro-Bigiaretti e del Premio Pisa. A settembre 2021 è uscito per Einaudi Stile Libero il romanzo Il tempo migliore.

SAGGISTICA

Salvatore Settis, Incursioni. Arte contemporanea e tradizione, Feltrinelli

Dalle foto di Duchamp alla videoarte di Bill Viola, un viaggio nel tempo e nello spazio dell’arte contemporanea per scoprire il suo legame a volte sottile, altre volte turbolento, con la tradizione. Le incursioni di Salvatore Settis nelle opere di dieci importanti artisti del nostro tempo, Duchamp, Guttuso, Bergman, Jodice, Pericoli, Bruskin, Penone, Viola, Kentridge e Schutz rappresentano l’onda d’urto dell’arte contemporanea, che travolge regole e abitudini consolidate. Ma la loro opera comporta davvero un rifiuto drastico della tradizione o la capacità di dimenticarla? “Tra antico e contemporaneo,” scrive Settis, “c’è una perpetua tensione, che continuamente si riarticola nel fluire dei linguaggi critici e del gusto, nei meccanismi di mercato, nel funzionamento delle istituzioni. Talora anche in dura polemica con l’arte del passato, ma senza poterla ignorare”. Ogni artista lo sa e forse lo sa anche il suo pubblico. La citazione, la parodia, la stratificazione della memoria, il ritorno di un gesto sono solo alcune tracce del rapporto che lega i maestri di oggi con il passato. Il coraggio dell’incursione da un artista all’altro, da un’opera all’altra, è la strada per esplorare connessioni e distanze senza rinunciare alla condizione essenziale della conoscenza: la capacità di sentirsi stranieri in ogni luogo.

L’AUTORE

Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, è presidente del Consiglio scientifico del Louvre. Ha diretto a Los Angeles il Getty Research Institute e a Pisa la Scuola Normale Superiore. È stato presidente del Consiglio superiore dei beni culturali ed è tra i membri fondatori dello European Research Council. Ha scritto di arte antica (Laocoonte. Fama e stile, 1999) e moderna (Artisti e committenti tra Quattro e Cinquecento, 2010) e di politica culturale (Futuro del “classico”, 2004). Tra i suoi ultimi libri, Se Venezia muore (2014) e Cieli d’Europa. Cultura, creatività, uguaglianza (2017).

Riccardo Falcinelli, Figure, Einaudi

Perché alcune immagini diventano famose e altre no, perché ci catturano, stupiscono, ipnotizzano: come funzionano? Figure ci accompagna nella bottega di pittori, fotografi, registi, da Raffaello a Stanley Kubrick, rivoluzionando il nostro modo di guardare. Spesso, davanti a un quadro, tendiamo a domandarci che cosa significhi, o quali fossero gli intenti del pittore, o come si collochi nell’epoca in cui è stato realizzato: ma cosí la storia dell’arte rischia di essere una Spiegazione solo di storia, anziché di arte. Riccardo Falcinelli adotta un paradigma completamente diverso. Invece di cercare il «significato» delle immagini, entra nel loro ingranaggio, le tratta non come simboli da decifrare, bensì come meccanismi da smontare, ci spiega in che modo sono state progettate e costruite, e perché. Scritto con piglio affabulatorio e avvincente, che conferma Falcinelli come uno dei migliori saggisti italiani, Figure è un libro per chi vuole capire le immagini, ma anche per chi vuole inventarle.

L’AUTORE

Riccardo Falcinelli (1973) è uno dei più apprezzati graphic designer italiani. Insegna Psicologia della percezione presso la facoltà di Design ISIA di Roma. Nel 2011 ha pubblicato con Stampa Alternativa & Graffiti Guardare, Pensare. Progettare. Neuroscienze per il design. Per Einaudi Stile Libero ha pubblicato Critica portatile al visual design (2014) e Cromorama (2017) che è stato un grande successo.

Marco D’Eramo, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi, Feltrinelli

Negli ultimi cinquant’anni è stata compiuta una gigantesca rivoluzione dei ricchi contro i poveri, dei padroni contro i sudditi, dei dominanti contro i dominati. Il capitale umano è diventato l’equivalente moderno dell’anima. E tale resterà se non impariamo da chi continua a sconfiggerci, sfruttando anche i virus. Dai birrifici del Colorado alle facoltà di Harvard, ai premi Nobel di Stoccolma, Marco d’Eramo ci guida nei luoghi dove una guerra è stata pensata, pianificata, finanziata. Di una vera e propria guerra si è trattato, anche se è stata combattuta senza che noi ce ne accorgessimo. La vittoria è tale che oggi termini come “capitalisti”, “sfruttamento”, “oppressione” sono diventati parolacce che ci vergogniamo di pronunciare. Oggi “ci è più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. La rivolta dall’alto contro il basso ha investito tutti i terreni: non solo l’economia, il lavoro, ma la giustizia, l’educazione, ha stravolto l’idea che noi ci facciamo della società, della famiglia, di noi stessi. Ha sfruttato ogni crisi, ogni tsunami, ogni attentato, ogni recessione, ogni pandemia. Ha usato ogni arma, dalla rivoluzione informatica alla tecnologia del debito. Ha cambiato la natura del potere, dalla disciplina al controllo. Ha imparato dalle lotte operaie, ha studiato Gramsci e Lenin. Forse è arrivato il momento di fare lo stesso e di imparare dagli avversari. “Il lavoro da fare,” scrive d’Eramo, “è immenso, titanico, da mettere spavento. Ma ricordiamoci che nel 1947 i fautori del neoliberismo dovevano quasi riunirsi in clandestinità, sembravano predicare nel deserto, proprio come noi ora.”

L’AUTORE

Marco d’Eramo è nato a Roma nel 1947. Laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pra-tique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha lavorato per “Paese Sera”, “Mondoperaio” ed “Il manifesto”. Collabora con “MicroMega”, “New Left Review”, “Die Tageszeitung”. Tra le sue pubblicazioni: Gli ordini del caos (Manifestolibri, 1991), Via dal vento. Viaggio nel profondo sud degli Stati Uniti (Manifestolibri, 2004), Moderato sarà lei (con Marco Bascetta; (Manifestolibri, 2008) e, con Feltrinelli, Il maiale e il grattacielo (1995), Lo sciamano in elicottero. Per una storia del presente (1999) e Il selfie del mondo (2017).